Eroina dalla Turchia, in 14 verso il processo

La banda trattava anche cento chili di droga al mese e aveva la base in un casolare di campagna

NOVENTA. L’eroina partiva dal Medio Oriente, in particolare dalla Turchia, e arrivava nella campagna sandonatese prima di raggiungere le varie piazze del Nord Italia. I soldi incassati dall’organizzazione tornavano in buona parte in Albania, Paese d’origine del gruppo criminale sgominato dall’indagine del pm della Direzione distrettuale antimafia Giovanni Zorzi. Lo stesso pm nei giorni scorsi ha chiuso le indagini e fatto notificare il relativo avviso ai difensori dei 14 indagati, tutti di nazionalità albanese. Si tratta dell’atto che normalmente precede la richiesta di rinvio a giudizio. Ora gli indagati potranno chiedere di essere sentiti dal pubblico ministero titolare del fascicolo.

Nel corso delle indagini, la Finanza ha ricostruito come ai vertici dell’organizzazione ci fossero “Gazi” (Gazmir Panxhi, difeso dall’avvocato Mauro Serpico), che si occupava della sponda italiana, e “Arjan il magro” (al secolo Arjan Myrta), che invece era quasi sempre all’estero per mantenere i rapporti con i fornitori macedoni e turchi. Tutti gli altri, originari della stessa zona dell’Albania, il distretto di Elbassan, stavano ai loro ordini, nel business del traffico internazionale di droga, soprattutto eroina. Le piazze raggiunte erano quelle delle principali città del Nord Italia, ma la base di partenza - dove venivano truccate le auto per nascondere la droga - era in un vecchio casolare di campagna tra San Donà e Noventa di Piave, in via delle Bassette 35.

L’organizzazione era capace di trattare circa 100 chili di eroina al mese. Nei 16 capi d’imputazione vengono ricostruite le diverse detenzioni di stupefacente di cui si occupavano gli altri componenti della banda.

L’indagine era scattata nel luglio del 2014 quando i finanzieri toscani avevano intercettato un corriere della droga che si muoveva tra Pisa e Lucca. Avevano ricostruito la filiera e, passo dopo passo - soprattutto grazie alle intercettazioni telefoniche, erano risaliti al Veneto, e in particolare al vecchio casolare di campagna, che a volte veniva difeso anche da uno o due uomini armati: in quel vecchio edificio venivano preparati i doppifondi delle macchine e veniva nascosta la droga in attesa di prendere la strada dello smercio al dettaglio. Quando è stato chiaro che la base dell’associazione a delinquere era in Veneto, la Procura di Firenze, per competenza territoriale, ha passato la palla a quella di Venezia che ha proseguito nelle indagini ora concluse.

Rubina Bon

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