Ergastolo, Busetto arrestata in aula
Ergastolo: la Corte d’assise d’appello presieduta dal giudice Gioacchino Termini ha condannato alla massima pena prevista dal codice Monica Busetto, che invece era stata condannata “solo” a 24 anni e mezzo in primo grado. E l’operatrice socio sanitaria dell’Asl 12 è stata arrestata in aula, per ordine dei giudici, e trasferita subito nel carcere della Giudecca da dove era uscita alcuni mesi fa, dopo che “Milly” Lazzarini aveva confessato di essere stata lei la responsabile dell’omicidio di Lida Taffi Pamio.
Quando ha sentito la parola “ergastolo” è rimasta impietrita. Forse non ha capito subito: i suoi legali l’hanno fatta sedere e le hanno spiegato che doveva tornare in carcere. Allora si è messa a piangere. «Una sentenza inspiegabile», ha commentato subito il suo difensore, l’avvocato Alessandro Doglioni, «non me l’aspettavo, non riesco a capire». Comunque ha annunciato che presenterà ricorso per far celebrare un nuovo processo davanti alla Corte di Cassazione.
I giudici di secondo grado hanno accolto in tutto le richieste del sostituto procuratore generale Francesco Cicero, il quale aveva chiuso la sua requisitoria chiedendo l’ergastolo e l’immediato arresto per impedire la sua fuga. Per il rappresentante dell’accusa, Monica Busetto andava ritenuta responsabile di omicidio volontario aggravato dall’efferatezza e crudeltà e dai futili motivi. Cicero ha spiegato che l’imputata non avrebbe soltanto ucciso l’anziana residente in viale Vespucci, ma le avrebbe imposto sofferenze inutili, visto che era stata colpita al volto con uno schiaccianoci, colpita più volte con coltelli, tre dei quali si sono anche rotti, soffocata con carta da cucina spinta fino in gola e, infine, strozzata con un cavo elettrico.
Poi, il movente insignificante: l’imputata avrebbe ucciso perchè Lida Pamio parlava male di lei al vicinato, sostenendo che era lesbica. Per l’accusa «l’architrave che sostiene la condanna è la presenza del dna della vittima nella catenina d’oro trovata in camera della Busetto». «Senza di quella nessuno di noi sarebbe in questa aula, si tratta di uno scoglio insuperabile» ha aggiunto il pg Cicero. Per quanto riguarda le confessioni di “Milly”, ha precisato che sono state diverse e contraddittorie, ma per lui la verità l’ha raccontata soltanto alla fine. «Non possiamo affermare che, visto che ha detto il falso nei primi interrogatori, ha detto il falso anche dopo».
La sua ultima ricostruzione starebbe in piedi: tanto che la responsabilità della Busetto, inchiodata dalla presenza del dna nella collanina, sarebbe stata rafforzata dalle dichiarazioni di “Milly”, che la colloca nell’appartamento durante l’omicidio, anzi che la accusa addirittura di aver sferrato l’ultima coltellata, quella mortale alla gola.
Per capire quale importanza i giudici della Corte d’assise d’appello, che hanno impiegato poco più di cinque ore per la decisione, hanno dato alle confessioni di “Milly” sarà necessario attendere le motivazioni della sentenza che toccherà al presidente Termini scrivere. Potrebbero aver scelto la strada suggerita dal rappresentante dell’accusa, il quale ha sostenuto che solo l’ultimo interrogatorio è veritiero, grazie al fatto che “Milly” ha raccolto l’appello del figlio a raccontare la verità, mentre prima sarebbero state dichiarazioni frutto dell’accordo preso in carcere con l’imputata, che in cambio aveva promesso soldi. Oppure potrebbero aver deciso che “Milly” ha raccontato frottole sia prima sia dopo, tenendo ferme le conclusioni cui è giunta la perizia sulla collanina.
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