Eremiti dentro casa, è il nuovo disagio
MESTRE. Se ne stanno chiusi in casa, nella loro cameretta. Rifiutano i contatti con la società e i coetanei, si relazionano solo con i loro famigliari e con Pc e tablet, la loro finestra su un mondo dal quale si sono temporaneamente messi in stand-by.
Sono gli Hikikomori, termine giapponese che significa “stare in disparte”, tradotto in italiano con “ritirati sociali”.
Giovani tra i 14 e i 25 anni, per la maggior parte maschi (il 70 per cento) e figli unici, sensibili, intelligenti e più maturi di altri. La cosa che odiano di più è la scuola, nei confronti della quale provano sentimenti contrastanti. Non amano la competizione e se ne vergognano. In Italia si presume che gli Hikikomori siano 100 mila; cinquemila (una stima perché attualmente non ci sono statistiche di riferimento) in Veneto e un numero imprecisato nel Veneziano, dove si è formata un’associazione di genitori di riferimento che fa capo, tra gli altri, a Giovanna Borsetto e Giulia Rossetto. L’altra sera al Centro cardinal Urbani di Zelarino l’associazione Hikikomori Italia, fondata dal dottor Marco Crepaldi, ha tenuto un seminario informativo per parlare del fenomeno, fornire degli strumenti per affrontarlo, fare in modo che finalmente si inizi a parlarne. Assieme all’associazione, infatti, nel 2017 si è formata anche l’associazione Genitori, che ha dato vita a comunità virtuali per consentire ai familiari di sentirsi meno soli nell’affrontare un fenomeno tanto difficile da classificare. Cosa fa scattare il ritiro?«Questi ragazzi», ha spiegato Crepaldi, «non sono depressi, non sono dipendenti da internet ma ne abusano, sono introversi fino al punto di auto recludersi». Perché accade? «L’origine non è stata individuata, ma sembrerebbe legata alla pressione della società moderna e a una serie di concause caratteriali, sociali e famigliari cui si aggiunge sfiducia nelle relazioni e negatività nei confronti della società». Non sono fannulloni e neanche depressi, ma aiutarli è difficilissimo e solo di recente stanno nascendo percorsi di presa in carico.
Il sito di Crepaldi è diventato punto di riferimento del fenomeno, che oggi riunisce 900 genitori. Un problema concreto.
Perché – come è stato detto ieri – se le scuole obbligano i ragazzi alla frequenza peggiorano solo le cose: farli uscire a forza di casa è sbagliato, togliere loro internet peggio. La presidente nazionale dell’associazione genitori, Elena Carolei, lancia un appello: «Chiediamo consapevolezza da parte delle istituzioni, aiuto alle scuole, percorsi protetti, interventi sociali a domicilio e la classificazione sociale di questo fenomeno».
Laura Besazza è referente regionale di Genitori Hikikomori Onlus: «I genitori hanno il compito di sensibilizzare, informare, agire sulla scuola. Il nostro ruolo è far nascere gruppi di genitori e di supporto seguiti da uno psicologo». L’associazione tra Venezia, Mestre Padova e Treviso conta circa una trentina di persone, ma il lavoro è solo all’inizio. «Ho avuto una esperienza personale», racconta la Besazza, «oggi risolta e io sono diventata una volontaria, mi metto al servizio della causa. Ci sono grandi paradossi rispetto al trattamento di questi ragazzi, serve spirito creativo e flessibile».
All’incontro ha partecipato l’Ordine dei medici di Venezia. Il neuropsichiatra infantile Lodovico Perulli ha inquadrato il fenomeno sotto un profilo più scientifico. «Siamo agli inizi, non c’è chiarezza neanche sul termine. La situazione non è definita e ci sono casi diversissimi tra loro: situazioni estreme e meno, intensità variabili di ritiro e nella maggior parte dei casi legate a patologie. Quello che può fare lo psichiatra è realizzare diagnosi differenziali ed escludere psicosi e depressioni».
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