Erano capaci di annullare le microspie

Antonio Maniero e Giuliano De Checchi la vecchia guardia, tra gli altri molti insospettabili
FERRO - OPERAZIONE MASTERCHEF IN QUESTURA.
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DOLO. A parte Antonio Maniero detto “il toro di Vigorovea” e Giuliano De Checchi detto “stecco o stecchin”, il cui passato è ben noto, tutti gli altri erano quasi insospettabili. C’erano Stefano Lodovici, 41 anni, residente a Camponogara, conosciuto come “busi”; Paolo Gianolli, 63 anni, residente a Mestre in via don Orione, abile a procurare armi (una pistola a 1.300 euro) e dispositivi in grado di bruciare le microspie; Vincenzo Pellegrino, detto “napoli”, originario di Cava dei Tirreni, residente a Camponogara e dipendente di un panificio; Alessandro Prevedello (ora ai domiciliari), 38 anni, residente a Santa Maria di Sala, chiamato “capelli bianchi”; Nicola Zampieri (ora ai domiciliari), detto “zanza” residente a Saonara e titolare del Tomaificio Emmezeta di Stra; Antonio Bastianello (ora ai domiciliari), 57 anni, residente a Brugine, detto “caramea” o “barbiere” perché effettivamente lavorava come barbiere in un salone della zona. Luca Marcato detto “sinto”, residente a Legnaro in via Bolzano, era invece conosciuto alle forze dell’ordine. Il nuovo stralcio d’indagine avviato dalla Squadra mobile di Padova ruota tutto attorno a lui. De Checchi e Maniero hanno una storia criminale di tutto rispetto anche se non sono mai stati dei capi: a guidare la banda un tempo era il fratello di Giuliano, Marziano. E sarebbe stato proprio lui a coinvolgerli nell’omicidio di un loro ex adepto Flavio Giantin, che secondo la Corte d’appello di Venezia non voleva più sottostare alle regole della banda, acquistava la droga da altri e loro temevano che stesse per parlare, per denunciarli. In primo grado erano stati assolti dall’omicidio, in secondo grado Marziano era stato condannato all’ergastolo, Giuliano a dodici anni e Maniero (nessuna parentela con il boss) a dieci anni e cinque mesi di reclusione.

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