Eraclea, difficile convivenza tra profughi e turisti
ERACLEA. In via degli Olivi a Eraclea Mare c’è un via vai di giovani africani a tutte le ore del giorno e della notte. Il residence Mimose, dove li ha mandati la prefettura perché messo a disposizione da un imprenditore privato, è ormai la loro casa vacanze in Italia. Poco possono dire la decine di famiglie che ha acquistato gli appartamenti. In tutto le abitazioni sono 63, delle quali 24, per ora, sono andati ai migranti. E altri potrebbero arrivare perché anche ieri le donne delle pulizie stavano preparando altre appartamenti.
In tutto al momento i migranti sono circa 140, una decina le donne tutte rigorosamente coperte dal velo. Gli altri sono giovani provenienti dall’Africa sub-sahariana che provengono da Paesi in guerra. Troppi per una cittadina balneare come Eraclea, un chilometro di arenile, tanta Pineta, spiaggia conosciuta quale paradiso per le famiglie. Ma oggi il weekend a Eraclea è con il profugo, come si scherza in questi giorni, dopo che tutto il tessuto commerciale e turistico della località è stato sconvolto dall’arrivo di quelli che vengono percepiti come veri e propri alieni nella tranquilla Eraclea Mare.
«Non è razzismo il nostro», dicono Wilma Leonardi e il marito Vito Magri di Bolzano, proprietari di un appartamento al Mimose, «lo chiamano residence, ma questo è un condominio di 64 appartamenti. E noi ce li siamo trovati qui a fianco, senza sapere nulla del loro arrivo. Una decina saranno i proprietari. A parte che il valore delle nostre case crollerà, ma questo non importa, la vacanza qui è diventata impensabile. Sono giovani di 20 anni, che vivono scontri tra etnie. La convivenza con famiglie e turisti è impensabile. Chi ha messo a disposizione gli appartamenti doveva pensarci prima, ma sappiamo che prenderà tra i 30 e i 33 euro a persona al giorno e di questi tempi sono soldi sicuri. I problemi sono ora per noi».
Sembra tutto un business a sentire chi protesta. Intanto i ragazzi escono dai loro appartamenti, raggiungono la mensa appena organizzata, poi il vicino ospedale provvisorio per le vaccinazioni, i medicinali contro la scabbia, i pidocchi. Ci sono anche i mediatori culturali ad aiutarli, poi sono arrivati i volontari, la Caritas. Polizia locale e carabinieri passano di tanto in tanto. Hanno affrontato viaggi disperati da Paesi in guerra, adesso girano in tuta da ginnastica, telefonino in mano, qualche dollaro. Alcuni camminano nella cittadina un po’ spaesati, chiedono dei soldi alla gente senza prepotenza, provano ad acquistare le sigarette con i dollari che hanno in tasca.
«Io vengo dal Mali», dice Mohammed di 28 anni, «sono scappato dalla guerra. Oggi vorrei fare un giro a Venezia e sto cercando l’autobus». Lui sa qualche parola di italiano, la maggior parte parla inglese, ma sono diffidenti, si schermiscono soprattutto con i giornalisti. Non si fidano. Sembrano in discreta salute, istruiti. Chissà se davvero tutti fuggono dalla guerra e le persecuzioni. Sicuramente molto di loro sì.
Il sindaco di Eraclea, Giorgio Talon, è un moderato che conosce la parola solidarietà, ma anche che qui la parola è fuori luogo. «Non è il posto per questa povera gente», dice Talon che ieri ha contattato il prefetto e a più riprese anche il governatore Zaia, «io ho chiesto che siano portati via al più presto. Non possono più stare qui perché non è giusto che altri ospiti se li trovino a fianco della loro porta, o che vivano in una località turistica alle prese con l’inizio della stagione». L’alternativa potrebbe essere la vecchia ex caserma di Ca’ Tron, alle spalle del mare, in mezzo alla campagna. Altro che soggiorno in un residence vicino al mare. Ormai sarà difficile mandarli via da qui, ora che finalmente sono arrivati dove sognavano e dove sono giunti dopo sofferenze, disperazione e sacrifici di intere famiglie che sognano per i loro figli un futuro migliore. Ma per molti di loro l’obiettivo non è Eraclea e neanche l’Italia, ma riuscire ad andare nel più ricco Nord Europa dove ci sono più possibilità di lavoro e magari hanno parenti o amici da raggiungere. Non sarà un’impresa per loro facile.
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