Entra nella moschea senza togliersi le scarpe e chiama il 113

VENEZIA. L’opera “La moschea” del Padiglione islandese, ospitata nella chiesa (sconsacrata) della Misericordia accende gli animi. Il progetto dell’artista Christoph Büchel ha una forte connotazione politica: l’obiettivo è dare ai musulmani la moschea che Venezia non ha mai concesso loro, nonostante le ripetute richieste.
Venerdì scorso, all’inaugurazione, la comunità ha potuto pregare in pace. Una pace però durata poco. Ieri pomeriggio, cattedratico di Scienze religiose, Alessandro Tamborini, ha chiamato il 113 perché, a quanto sostiene, gli è stato imposto di togliersi le scarpe, facendolo diventare un luogo di culto a tutti gli effetti.
«Se vogliamo giocare a fare i musulmani», ha detto, «allora bisogna scrivere un cartello all’esterno dicendo che non è un’opera d’arte, altrimenti io pretendo come luogo pubblico di non togliermi le scarpe». Dal Padiglione islandese spiegano che «si può entrare con le scarpe, ma per non rovinare i tappeti c’è uno spazio dove si chiede di toglierle».
Quel che è certo è che parlare di una moschea a Venezia non è facile. «Ci aspettavamo queste polemiche» ha detto ieri il portavoce della comunità, l’architetto Amin Al Ahdab «ma in ogni città europea c’è una moschea, il mondo sta cambiando. Noi chiediamo di pregare e basta, per giunta lo stesso Dio, sebbene in maniera diversa. Si parla tanto di cambio d’uso degli immobili e in questo caso non ci sarebbe niente di male se in futuro questa diventasse una moschea perché manterrebbe la sacralità per cui è stata costruita. La provocazione è prenderci tutti per terroristi, ma sul turismo che proviene dai Paesi arabi nessuno mi sembra dica nulla e perfino negli alberghi si sta cambiando il menù. Sapete quante volte capita di persone che arrivano qui con lo yacht e chiedono dov’è una moschea? Quando arrivano a Marghera, dove noi pregiamo, ci chiediamo come mai non ci sia a Venezia».
Il mondo della cultura cerca di dare un’ulteriore chiave di lettura: «Il meticciato di civiltà» ha detto Matteo Legrenzi, Presidente Società Studi sul Medio Oriente «è ormai una realtà con la quale chiunque diventerà sindaco dovrà confrontarsi e un luogo di culto trasparente è invece una garanzia di sicurezza».
«C’è una scarsa conoscenza dell’altro» ha spiegato la docente di Lingua e Letteratura Araba Ida Zilio Grandi di Ca’ Foscari «e nessuno sforzo per farlo. Si tende poi a confondere i musulmani reali, quelli che abitano vicino a noi e che fanno la spesa nel nostro stesso supermercato, con un'idea che noi abbiamo dell'Islam come nemico e come pericolo. Certo, non è del tutto immotivata, ma non si deve applicare sempre. Credo che si debba smettere con la logica del “noi” e “loro”. I musulmani, piaccia o non piaccia, sono anche noi. La gente dimentica che i luoghi di culto islamico ci sono già, ma invisibili, quindi il vero problema è la loro emersione. Dovrebbe esserci a Venezia anche più di una moschea perché anche ai musulmani spetta un luogo decoroso dove pregare».
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