Elemosina, campagna anti-racket: «Non date soldi ai mendicanti»

Parte lunedì l’iniziativa della Confesercenti: cartelli nei negozi. «I fondi donateli invece alla Caritas». Dopo la lettera di don Antoniazzi, che ha mobilitato Carpenedo, si estende il fronte contro i questuanti
Mendicanti a Mestre.
Mendicanti a Mestre.

MESTRE - La protesta anti-questua dei commercianti di Carpenedo si estende a tutta la terraferma. La lettera di don Gianni Antoniazzi, parroco di Carpenedo, che ha invitato a non fare elemosina ai giovani senza fissa dimora che da qualche mese stazionano davanti ai negozi e ai gradini della chiesa dei Santi Gervasio e Protasio è la classica goccia che fa traboccare il vaso di una sopportazione arrivata al limite in una Mestre dove oggi il degrado fa paura a molti. La Confesercenti di Venezia amplia il concetto e annuncia una iniziativa in tutto il Comune. A tutti gli associati arriverà da lunedì una lettera della Confesercenti, con una vetrofania da esporre sulle vetrine, che suggerisce ai clienti «di non elemosinare i mendicanti davanti all’ingresso del negozio» e piuttosto di devolvere alla Caritas veneziana i fondi per aiutare chi è povero.

«Non siamo certo razzisti ma bisogna guardare in faccia la realtà e prendere atto che di fronte al visibile fenomeno dei mendicanti nelle nostre città, molte volte veritiero e drammatico, in molti casi si tratta di persone che vengono reclutate da vere e proprie organizzazioni criminali: in questo modo il gesto di fare elemosina da parte dei cittadini, va ad alimentare la diffusione dell’illegalità nella nostra città. Non possiamo permettercelo: per la sicurezza di Mestre e di chi ci vive e lavora, e per la sopravvivenza del commercio dobbiamo mettere subito in campo azioni contro il degrado e la desertificazione della città» è il messaggio di Maurizio Franceschi, direttore di Confesercenti Venezia. «Ci rivolgiamo a tutti», dice Franceschi.

L’invito è chiaro: dirottare i soldi delle elemosine a contributi alla Caritas veneziana, sostenendo mense, dormitori, strutture di accoglienza e di accompagnamento. Il direttore della Caritas, Don Dino Pistolato, commenta: «Già da tempo invito a non foraggiare realtà di sfruttamento ma da qui a dire che non si deve più fare l’elemosina ce ne passa. Un buon modo per aiutare i poveri è di certo sostenere le nostre mense, strutture, i servizi che aiutano a pagare anche le bollette perché oggi l’emergenza è anche questa e non solo l’assenza di cibo», dice Don Pistolato. «Ma voglio anche dire che mi preoccupa che in questa situazione di crisi e difficoltà generale, la tensione, i continui riferimenti al degrado possano produrre un pericoloso meccanismo di egoismo, di sospetto contro tutto e tutti che ci si ritorcerà contro perché ridurrà la qualità del nostro vivere sociale».

Bandire l’elemosina? Si interroga don Armando Trevisiol, il parroco di Carpenedo che ha creato oltre ai cinque centri Don Vecchi tante strutture che vestono e sfamano a basso costo chi non ha di che vivere e dove passano circa 40 mila presenze l’anno: «Anche i poveri da noi, nelle nostre strutture, danno pochissimo ma pagando consentono di aiutare chi sta peggio di loro. Io sul tema continuo ad essere combattuto: comprendo che non si deve dare l’elemosina alle organizzazioni che sfruttano ma quando vado in cimitero agli accattoni consegno sempre una moneta che ho in tasca». Gianfranco Bettin, ex assessore comunale, aggiunge: «Ha ragione don Gianni ma occorre saper distinguere. Come? Molestie, comportamenti aggressivi e incivili vanno perseguiti con strumenti, interventi di forze dell’ordine e sociali. I giovani trentenni che pensano di fare del mendicare una professione vanno contrastati. Ma resta il fatto che la carità rimane un atto individuale di grande valore collettivo».

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