Election day a Venezia: Brugnaro e Zaia superfavoriti
VENEZIA. Le elezioni come le partite di calcio: un tempo si svolgevano tutte assieme; poi si è passati allo spezzatino, ne capitano in tutti i momenti. E così anche il voto ha finito per diventare un argomento da Bar Sport, con la politica al posto del pallone. Come sta accadendo per l’appuntamento con le urne di domani e lunedì: in cui confluiscono un referendum affrontato con toni più da ultras che da tifosi, e sette test regionali sui quali si consumano pronostici da stadio centrati sul punteggio finale (cinque a due, quattro a tre…). Con l’aggravante che la Politica con la maiuscola viene messa fuorigioco in partenza: il confronto tra le parti cui abbiamo assistito in queste settimane non verte sul merito del voto, ma sulle sue ricadute. In altri termini: a pochi interessa quali effetti produrrà il referendum, per i più la sola cosa che conta è quelli che avrà sul governo.
Idem per le regionali: dei singoli territori poco importa, quel che pesa è la misura del punteggio finale, sempre per le sorti dell’esecutivo. Non è una novità, purtroppo. Il nostro è un Paese in cui anche dalle urne dei lombardi Pedesina e Monterone (i due comuni più piccoli d’Italia con i loro 34 e 35 abitanti) si trae motivo per discutere sui loro riflessi sul quadro nazionale; quasi sempre con sprechi di tempo e di parole. Così accadrà verosimilmente anche stavolta, non tanto per fondate ragioni politiche, quanto per un dato di fatto tutt’altro che esaltante: la mancanza di un’alternativa all’attuale governo.
Spenti i microfoni della propaganda a uso di telecamere, lo ammettono gli stessi esponenti dell’opposizione; mentre quelli della maggioranza se ne servono per continuare a mettere in scena i loro stucchevoli litigi. Così, sia l’esito del referendum che quello delle regionali determineranno martedì mattina un solo vero sconfortante risultato: un Paese bloccato, incapace di metter mano a quelle riforme che mai come oggi sarebbero vitali. Lo scarso interesse per l’esito del voto regionale è accentuato in Veneto dal fatto di essere largamente scontato, e non da oggi. Un presidente riconfermato in misura tale da potersi definire davvero governatore. Un confronto sotterraneo a coltello tra la sua lista personale e quella ufficiale del suo partito, la Lega.
Un centrosinistra, Pd in testa, che porterà un’intera cereria a Sant’Antonio da Padova se perderà le elezioni senza perdere la faccia. Una falcidie delle listarelle minori che spariranno il giorno dopo. L’uso ed abuso della parolina magica “autonomia”, che il Veneto insegue vanamente da decenni, e della quale alla politica nazionale non importa un fico secco. Il turno elettorale propone in casa un terzo appuntamento di primo piano, il voto per Venezia. Anche qui l’esito è scontato, con la riconferma annunciata del sindaco uscente: la sola incertezza è se ce la farà subito, o se tra due settimane dovrà affrontare il ballottaggio. La città è vittima ab illo tempore di un’estenuante clima di rissa tra partiti e ancor più all’interno di essi, che le ha fatto pagare prezzi pesantissimi, lasciando insoluti anzi aggravando i suoi drammatici ed atavici problemi. Da questa palude è scaturita cinque anni fa la vittoria di un uomo al di fuori della politica, in cui l’immagine prevale sulla sostanza, come oggi va di moda. E dall’incapacità di bonificare questa palude nella legislatura appena conclusa deriverà verosimilmente la sua riconferma. Con una sola malinconica certezza: che la città più fragile e sgovernata del mondo continuerà anche dopo a rimanere tale. Sott’acqua. —
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