Ecco Martial Raysse, leone del Pop libero
VENEZIA. È dedicata a un vecchio leone ancora ruggente - nonostante i quasi ottant’anni - del gruppo dei Nouveaux Réalistes come Martial Raysse la mostra che si inaugura sabato 11 a Palazzo Grassi (aperta al pubblico da domenica 12) e che chiude la due giorni espositiva della Fondazione Pinault in laguna introdotta alla Punta della Dogana dall’esposizione Slip of the Tongue, curata da un altro artista come Danh Vo con Caroline Bourgeois.
La critica francese “firma” anche questa prima retrospettiva d’Oltralpe dalla metà degli anni Sessanta dedicata a questo artista che proprio in quegli anni con Arman, Yves Klein, Jean Tinguely, tra gli altri, e - più tardi - anche il nostro Mimmo Rotella, iniziò a declinare una nuova idea dell’arte all’interno della società dei consumi, rivalutando a fini artistici anche articoli di plastica e a basso costo e anticipando in parte quella Pop Art di cui Raysse può senz’altro definirsi uno dei maggiori interpreti europei.
Guardando, nello stesso tempo, con curiosità e spirito dissacratorio anche alla grande arte del passato e artisti come Leonardo, Pollaiolo, Ingres, Poussin - “citati” anche nella mostra veneziana - fanno certamente parte del suo pantheon. La retrospettiva che gli dedica Palazzo Grassi - dando inevitabilmente fiato anche a un nuovo interesse del mercato per questo artista a lungo inattivo per i suoi lunghi viaggi - è imponente, con circa 350 opere che occupano l’intero edificio.
A cominciare dall’atrio, trasformato, all’interno di eleganti teche di vetro in una vera e propria wunderkammer rayssiana, con piccole sculture, manufatti, ma anche objet trouvés riassemblati dall’artista in una vera e propria “foresta” che accoglie e attrae immediatamente il visitatore per introdurlo poi, nelle sale del primo e del secondo piano, ai grandi ritratti e alle gigantesche scene urbane di gruppo che mostrano l’anima più autenticamente pop di Raysse, l’uso dei colori accesi, del neon e di una figurazione dissacrante e provocatoria. La mostra, volutamente, mischia nelle stesse sale opere storiche dell’artista con altre di epoche più recente, quasi a sottolineare una continuità di temi e di linguaggio che gli appartiene.
«Raysse sembra raggiungere una sorta di atemporalità - scrive non a caso Caroline Bourgeois nel testo introduttivo alla mostra - dando prova di un gusto dei colori più che originale: i colori rafforzano infatti la semplicità del soggetto, proprio come il neon o i materiali singolari in precedenza invitavano a un gioioso distacco». Anche se, Raysse, a poco a poco si è trasferito lontano dal mondo urbano verso un ritorno alla natura, un ideale bucolico di una comunità dolce e calma con reminiscenze di Poussin e della mitologia.
Ha usato pastello e tempera per rappresentare scene magiche o fantastiche senza tempo, anticipando la moda per i soggetti mitologici apparsa nel lavoro di altri pittori negli anni 1980. E la mostra di Palazzo Grassi offre anche questa immagine dell’artista, assieme a quella di filmaker, di disegnatore, di poeta.
E resta sempre attuale, in fondo, per lui, ciò che ne scriveva Pierre Restany - demiurgo del Nuovo realismo - alla metà degli anni Settanta: «Da Nizza a Los Angeles la natura di Raysse spiega le sue ricchezze fastose, le sue perle al neon, il lusso delle sue città, lo splendore del suo sole, il blu addomesticato del suo cielo e del suo mare: una natura estremamente sofisticata, ma il segreto della bellezza Raysse-made è proprio in quell’artificio. Su queste basi naturalistiche Martial Raysse ha maturato, con la folgorante rapidità che è esclusivo appannaggio dei grandi, un’autentica filosofia della visione: un istinto vitale portato in uno sguardo sul mondo»
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