«Ecco come salvarci dal Piave»

Musile. L’ingegner D’Alpaos: invaso a Falzè e casse di espansione sul Montello, tutto il resto non serve
Di Giovanni Monforte

MUSILE. Per salvare il Sandonatese dal rischio di una esondazione del Piave è necessario realizzare l’invaso di Falzè (a Sernaglia, là dove il Piave sbuca nell’alta pianura), da accompagnare a una cassa di espansione sulle Grave di Ciano, sul Montello. Per il professor Luigi D’Alpaos, uno dei massimi esperti di ingegneria idraulica, rimane questo l’unico intervento davvero risolutivo per scongiurare il rischio che il Basso Piave possa rivivere l’incubo dell’alluvione del 1966. D’Alpaos lo ha ribadito a Musile, dove ha partecipato a un convegno del Pd locale.

Un intervento in cui D’Alpaos non le ha risparmiate, attaccando la politica, la classe tecnica, nonché un certo ambientalismo «della domenica». Un chiaro riferimento a chi da anni con varie motivazioni si batte contro la diga di Falzè, tanto osteggiata a monte quanto per D’Alpaos necessaria per il Basso Piave. E il professore lo ha spiegato a Musile, partendo dalla constatazione che oggi nel Basso Piave il fiume non può sopportare più di 3 mila metri cubi al secondo (mc/s) di acqua. D’Alpaos ha spiegato che i modelli matematici dimostrano l’insufficienza delle soluzioni alternative: le casse di espansione a Ponte di Piave o sulle Grave di Papadopoli. Quindi la proposta. Per il professore si potrebbe realizzare il cosiddetto «Falzè basso», ovvero un invaso da 40 milioni di mc/s contro i 90 previsti dall’idea originaria del bacino di laminazione (il «Falzè alto»), più impattante.

«L’effetto che avremmo con un Falzè basso associandovi una cassa di espansione sulle Grave di Ciano», ha spiegato D’Alpaos, «farebbe scendere sotto i 3 mila mc/s il colmo di piena a San Donà, facendo sì che il fiume possa scorrere nel suo alveo senza esondare».

D’ Alpaos ha ribadito che questa soluzione non avrebbe un maggiore impatto ambientale. E poi si è rivolto ai politici: «Decidetevi e fatelo con saggezza senza farvi condizionare dalla conta dei voti».

Al convegno è intervenuto anche Sergio Grego, direttore del Consorzio di bonifica Veneto Orientale, che ha illustrato il delicato lavoro che l’ente svolge per la sicurezza idraulica di un territorio in gran parte sotto il livello del mare. Un lavoro di cui si è avuta testimonianza durante l’emergenza di fine gennaio scorso, quando ci si è trovati a gestire una piena che ha fatto transitare un quantitativo d’acqua pari a due volte la capienza del Vajont. Grego ha ricordato che il consorzio ha predisposto un piano strategico di interventi sulle opere di bonifica da 40 milioni di euro, di cui 6 di massima priorità. Mentre, secondo una stima, per rialzare tutte le arginature dei canali di media importanza servirebbero circa 200 milioni di euro. Soldi che, ovviamente, dovrebbero arrivare dagli enti. «Se la Regione ci desse 4 milioni di euro all’anno, in dieci anni noi e il Genio Civile saremmo in grado di rialzare gli argini e scavare i canali nelle situazioni più urgenti», ha concluso Grego.

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