«È stata la cocaina a distruggere il modello Nordest»

L’INTERVISTA. Ha scritto “ZeroZeroZero” sul traffico di droga. Dice: corre a fiumi anche qui, è entrata come un doping dell’attività lavorativa
Lo scrittore Roberto Saviano in una foto di archivio del 12 aprile 2011. Due giorni dopo la piu' grande manifestazione mai organizzata da 'Occupy Wall Street', nuovo appuntamento oggi a mezzogiorno a New York. A Zuccotti Park si terra' un'assemblea del movimento, cui interverra' anche lo scrittore Roberto Saviano. ANSA/ PIETRO CROCCHIONI
Lo scrittore Roberto Saviano in una foto di archivio del 12 aprile 2011. Due giorni dopo la piu' grande manifestazione mai organizzata da 'Occupy Wall Street', nuovo appuntamento oggi a mezzogiorno a New York. A Zuccotti Park si terra' un'assemblea del movimento, cui interverra' anche lo scrittore Roberto Saviano. ANSA/ PIETRO CROCCHIONI

di Andrea Passerini

TREVISO. Arriva. Arriva a Fabrica Roberto Saviano, a parlare non tanto del suo libro fresco fresco e già caldissimo di vendite (“Zero zero zero”) ma piuttosto della cocaina che ha invaso mercato, uomini e menti. Anche qui, dove magari non sembra ma è. E allora, qualche domanda. Treviso ai vertici del consumo di coca, anche Padova e venezia in testa. La coca e il Nordest, terra dove sniffano manager e manovali, pr e operai, imprenditori e ragazzi.

«Proprio così. È uno dei territori con il più alto uso di cocaina. Qui la coca è entrata come un additivo alla stanchezza. Non è solo l'uso il sabato sera o per divertirsi. La coca qui è una carica a lavorare, a fare nottate, tra cantieri e riunioni. Sembra spesso essere un doping all'attività lavorativa e allo stesso tempo l'unica dimensione in cui rilassarsi o divertirsi».

La denuncia di due giorni fa del capo del Sert di Treviso, Germano Zanusso: la cocaina ha distrutto il modello Nordest, dai manager in giù... Come la commenta? «Condivido in pieno. Zanusso ha dati, osserva e ha compreso che il modello di sviluppo economico è stato ammazzato da una totale assenza di vigilanza politica sui capitali riciclati e dalla diffusione totale di coca. La Lega in primis ma anche tutte le altre forze politiche non hanno frontalmente mostrato questo problema. Tutto sembrava girare intorno ai furti in casa o all’immigrazione clandestina. Mentre avevano le mafie che sostenevano le aziende un attimo prima di prenderle direttamente loro».

Nel traffico mondiale di coca, qual è il livello del Nordest : e quali i canali a monte ed eventualmente a valle? «Il traffico di coca che porta il petrolio bianco nel nord est passa non soltanto attraverso le ferite dei porti italiani. Il giro balcanico è fondamentale. Dal sudamerica all’Africa dall’Africa al Montenegro, Croazia, Albania. da lì su gomma entra in Italia. A valle la rete di pusher può essere di strada (nigeriani, pusher locali) o il giro borghese, veri e propri professionisti dello smercio. Treviso più impatta contro la crisi più arriva a consumare coca. 10 grammi ogni mille abitanti (e sono solo i dati emersi) è una cifra immensa».

Leggendo il suo libro, sembra che la coca sia diventata anche una sua ossessione... è perché è davvero l’icona del mondo di oggi? Per il suo potere? per la sua redditività? «Sì, ne sono ossessionato e chi leggerà il mio libro penserà: Saviano è un mitomane pazzo. Le storie che si intrecciano per molti sono pura fantascienza, incredibili e violente. Ma sopratutto pochi conoscono quanto è immenso il giro di affari del narcotraffico. La prima azienda al mondo. oltre 400 miliardi di dollari. superiore alla Shell, ai petroli... Ne sono ossessionato perché guardare il percorso del potere mafioso legato al narcotraffico significa osservare tutto quello che non emerge nei tg nel dibattito politico, guardare nei flussi più nascosti...»

Criminalità. finanza, economia: le infiltrazioni mafiose a Nordest. Non più solo i rifiuti, ma anche le banche, le società, gli appalti. Tutto più strisciante, subdolo. Come si combatte, qui, quello che nel Sud Italia è un fenomeno che si manifesta molto più vistosamente? «Ma certo. L’inchiesta “Aspide” mostra come nel Veneto agisce la camorra». Il suo successo è anche la crisi di un paese senza legalità. Brecht diceva “beato il paese che non ha bisogno di eroi”.

Lei cosa si sente, dentro, oggi? Un personaggio? Un maitre à penser? La coscienza di un paese “assurdo“? «Non mi sento un eroe. Gli eroi sono morti. Io sono vivo. Gli eroi proprio perché morti non sbagliano e gli errori in vita vengono emendati. Io voglio rotolarmi nelle contraddizioni. Mi sento uno scrittore. Voglio raccontare. È quello che credo di saper fare. Il vuoto della politica in questi anni ha generato quello che Solzhenitsyn diceva dei regimi: in mancanza di vera libertà gli scrittori sono i ministri....».

Lei pubblica un libro ogni sette anni. È perché si devono covare? Perché non ci si deve inflazionare? «Raccolgo molto materiale. E poi lo mastico, ne genero narrazione, interviste, inchieste. Un libro deve crescere con i suoi tempi. Se l'autore gli dà i suoi non riuscirà a fare un buon lavoro ma allo stesso tempo un libro è fatto di molte gestazioni, se l’editore non mi avesse chiesto la consegna io lo portavo con me per altri 6 anni. Le storie di narcotraffico sono infinite e vorrei nella mia ossessione poterle sottoporre ai miei lettori di continuo. Vedrebbero un mondo davvero altro che non immaginano».

Nessuno può dimenticare la sua vita blindata, e dal libro traspare tutto il suo legame con i ragazzi della scorta. Da questa sua prigionia itinerante cui lei è costretto, c’è un messaggio, una riflessione, sul valore della libertà, della giustizia, della verità in Italia che lei vuole lanciare, soprattutto ai giovani? «Conoscete. Conoscere è l'unico modo per vaccinarsi contro i poteri. Dedicare tempo ad informarsi, ad approfondire. Cambiare idea, poi ritornare sulle proprie posizioni, poi mutare. Poi approfondire. Non è facile farsi un'idea e spesso molte info sono falsate molte valutazioni ideologiche, il web è il regno del semivero, dell’inverosimile. eppure approfondire significa aggiungere un altro diritto ai propri diritti: quello di capire. E capire è l’unica cosa che può non farci subire tutto quello che c’è intorno. Anche se spesso si è inermi, il capire le dinamiche non ci mette in ginocchio dinanzi ai poteri. Le mafie temono più la diffusione di una conoscenza e coscienza del loro potere che una denuncia».

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