È morto l'ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi

Livornese, aveva 95 anni. Lunedì i funerali a Roma e per l'occasione la presidenza del Consiglio ha disposto una giornata di lutto nazionale con l'esposizione a mezz'asta delle bandiere nazionale ed europea
©Giuseppe Pipita / LaPresse.14/1/2005 Crotone.Cronaca.Visita del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi a Crotone.Nella foto: Carlo Azeglio Ciampi a Crotone
©Giuseppe Pipita / LaPresse.14/1/2005 Crotone.Cronaca.Visita del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi a Crotone.Nella foto: Carlo Azeglio Ciampi a Crotone

E' morto a Roma, all'età di 95 anni, l'ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. I funerali si terranno lunedì a Roma: per quella giornata la presidenza del Consiglio ha disposto una giornata di lutto nazionale con l'esposizione a mezz'asta delle bandiere nazionale ed europea sugli edifici pubblici dell'intero territorio italiano.

Nato a Livorno il 9 dicembre 1920, è stato il decimo presidente della Repubblica dal 18 maggio 1999 al 15 maggio 2006. E' stato governatore della Banca d'Italia dal 1979 al 1993, presidente del Consiglio dei ministri (1993-1994), ministro del Tesoro e del Bilancio e della programmazione economica (1996-1997), quindi ministro del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica (1998-1999). Primo presidente del Consiglio e primo capo dello Stato non parlamentare nella storia della Repubblica, Ciampi fu anche il secondo presidente della Repubblica eletto dopo essere stato governatore della Banca d'Italia, preceduto da Luigi Einaudi nel 1948.

Governatore della Banca d'Italia; Presidente del Consiglio; ministro del Tesoro; infine Presidente della Repubblica: se Carlo Azeglio Ciampi era, come amava definirsi, un "italiano normale", uno schivo proiettato sul privato, bisogna ammettere che la sua vita sia stata segnata da una lunga serie di avversità. Una sorta di Cincinnato chiamato a più riprese ad occuparsi della cosa pubblica minacciata da qualche Spurio Melio, ma che in fondo sognava sempre di tornare al suo campo. O alla Caprera buon ritiro di ogni grande figura del suo amatissimo Risorgimento, che nel suo caso specifico si chiamava Livorno.

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In effetti politica attiva Ciampi non l'aveva fatta mai, fatto salvo un magro biennio consumato nell'effimera esperienza del Partito d'Azione. Dopo il deludente risultato ottenuto dal partito di Ferruccio Parri alle elezioni per la Costituente nel 1946, gli Azionisti si dispersero tra Repubblicani, Socialisti e Socialdemocratici. Un quarto gruppo tornò a vita privata, e Ciampi fu tra questi. Si mise a fare il professore di lettere, dopo la laurea in filologia classica alla Normale di Pisa. La sua tesi era incentrata su un autore minore del III Secolo che, esiliato, scrisse un trattato per dire che in fondo anche in esilio si poteva vivere benissimo. Gli sarebbe tornata alla mente più volte quando, ormai insediato al Quirinale, avrebbe accolto da ospiti gli eredi maschi di Casa Savoia.

La sua carriera può essere divisa in quattro fasi.

Prima fase: gli anni alla Banca d'Italia.  Fu un'intuizione della giovane moglie Franca a cambiargli la vita. Fece il concorso alla Banca d'Italia, lui che economista non era. Ciampi entra a 26 anni: da avventizio protocolla le lettere e copia quelle in partenza. "Anche se ti assegnano un compito modesto sta a te rendere un lavoro importante", ama dire. Alla fine diviene il numero uno, grazie a quella che lui stesso definisce la propria capacità di fare squadra e di rispettare "le alterità". Gli ultimi anni sono particolarmente difficili. E'  il 1992-1993: Giuliano Amato è presidente del Consiglio, Oscar Luigi Scalfaro al Quirinale e la lira nelle peste.

Nonostante gli sforzi, le manovre e le privatizzazioni, l'Italia è costretta a svalutare. Amato racconterà anni dopo: "Entrò nel mio studio Ciampi, era verde: 'La Bundesbank ci informa che non sosterrà più la lirà". Italia e Gran Bretagna annunciano di uscire dagli Accordi europei di cambio, la Spagna svaluta la peseta del 5 per cento.Si realizza così, in un'altalena di tensioni sui mercati, quel riallineamento ampio dello Sme che l'Italia aveva proposto senza successo fin dall'inizio. Pericolo scampato.

Carlo Azeglio Ciampi, al Quirinale con Livorno nel cuore

Seconda fase: Palazzo Chigi. Il 1992 è anche l'anno di Tangentopoli. Il governo Amato è decimato dagli avvisi di garanzia dei giudici di Milano. La situazione non regge, Scalfaro deve accoglierne le dimissioni e chiama Ciampi, estraneo ai partiti e conosciuto soprattutto nel campo dell'Europa finanziaria. Qualcosa è cambiato: lui stesso si definisce un "traghettatore" verso quella che di fatto sarà una Repubblica molto diversa da prima. Dà una prima aggiustata ai conti con il suo governo tecnico, dopo un anno lascia convinto che la politica possa riprendere le redini del paese. Arriverà Silvio Berlusconi.

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Terza fase: ministro del Tesoro. Romano Prodi richiama Ciampi a gestire la nuova cura da cavallo dell'economia nazionale. Scopo: l'entrata nell'euro fin dal primo giorno in cui questo diverrà la moneta unica europea. Parte allora la maxi-finanziaria 1997, con l'Eurotassa incorporata. La pressione fiscale italiana sale di 2 punti rispetto al Pil. Due mesi dopo, in novembre, l'Italia chiede il rientro nello Sme (il sistema monetario europeo da cui era uscita anni prima) . A fine 1997 il deficit sotto il 3% del Pil era ormai a portata di mano. Si entra nell'euro, tra i primi (alla faccia degli spagnoli, dei tedeschi e anche dei francesi).  La "tassa sull'Europa" verrà in parte restituita, ma nell'immaginario collettivo resterà sempre come l'epitome del tartassamento.

Quarta fase: il Quirinale. Con Ciampi riesce un miracolo che non si verificava dal lontano 1946: l'elezione alla prima botta del Capo dello Stato. Ad indicarlo, nel 1999, è il centrosinistra, ma Berlusconi e Fini non hanno alcuna voglia di litigare con il Colle per altri sette anni, dopo l'estenuante - per loro - mandato di Scalfaro. Dicono subito sì, anche perchè sanno che Ciampi non è uomo di scontro come il suo predecessore.

Il Presidente parte per un lungo "Viaggio in Italia" (in realtà la prassi delle visite in tutte le province italiane risale a Scalfaro), oppure si concentra sulle "zoppie" introdotte nell'ordinamento europeo dalla mancata creazione di un governo comune dell'economia, ora che l'euro è una realtà concreta e circolante. Firma deludendo molti supporter un provvedimento controverso come il Lodo Schifani, poi bloccato dalla Corte Costituzionale,  che rischia di garantire a Silvio Berlusconi l'immunità. Va anche detto però che si fa sentire con un messaggio alle camere in cui chiede la garanzia del pluralismo dell'informazione (il centrodestra gli risponde con uno sbadiglio).

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Il tratto saliente del settennato comunque è la campagna per la riscoperta della parola Patria. Dissoda il terreno e getta il seme per quelli che saranno i festeggiamenti dei 150 anni dell'Unità d'Italia. Come si sa, fu una festa riuscitissima, grazie alla quale il suo successore Giorgio Napolitano raggiungerà vette nei sondaggi d'opinione.

Anche lui, ad ogni modo, alla fine del settennato avrà indici di gradimento molto alti. Tanto che in molti gli chiedono, in tutto lo spettro politico, di accettare la riconferma. Lui declina, signorilmente, l'offerta. "Nessuno dei precedenti nove presidenti della Repubblica - spiega - è stato rieletto. Ritengo che questa sia divenuta una consuetudine significativa. È bene non infrangerla". Si ritira a vita privata, dividendosi tra Franca e Livorno, i suoi grandi amori. E con loro conviene chiudere questo ricordo.
 

Il presidente Ciampi intervistato dall'allora direttore del Tirreno Bruno Manfellotto

Franca è stata la First Lady più presente nella storia secolare del Quirinale. Lui parlava, lei interrompeva, per suggerire cosa il marito dovesse dire. Lui si spazientiva, lei sorrideva tutta compiaciuta. Ma soprattutto lo proteggeva, il suo Ciampi (sì, lo chiamava così, per cognome. Almeno in pubblico). Bisogna anche ammettere che la coppia era riuscitissima. Una sera, rientrando al Quirinale, Franca e Carlo si misero letteralmente a giocare rincorrendosi. Purtroppo si erano scordati che non erano più ragazzi. Lui si ruppe la clavicola e finì in clinica. Lei non mollò per un attimo il capezzale.

Quanto al Livorno, Ciampi ci tornava tutti i fine settimana. Era, tra le altre cose, un appassionato di calcio. Una volta, in visita in Argentina, citò a memoria la formazione del Livorno Calcio che negli anni Trenta accarezzava un pallone di cuoio marrone con tocchi sapienti, facendo vedere i sorci verdi sui campi di Serie A all'Ambrosiana, alla Triestina e persino alla Lucchese.

Ebbe la soddisfazione, da Presidente, di vedere i suoi rossi amaranto capitanati da Cristiano Lucarelli tornare trionfalmente nella massima divisione. Furono in due a gioirne: lui e le Bal, Brigate autonome livornesi. La Torcida labronica. Si vedevano, Ciampi e le Bal, tutte le domeniche che  l'undici allenato da un giovane Mazzarri giocava al Picchi. La prima volta finì con una sconfitta: 1-2 con il Chievo. La seconda fu un pareggio: 2-2 con  l'Atalanta. Seguì una nuova sconfitta: 0-2 con la Roma. Alla quarta, una nuova sconfitta: 1-2 con il Palermo.  Al novantesimo la curva srotolò lo striscione: "Carlo, per favore, domenica vai a vedere la Fiorentina". Farabutti. Una delle poche volte che a Ciampi sia toccato, in tutta la vita, di sentirsi fare una critica.

 

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