Due morti per l’amianto il Porto paga 330mila euro

Condanne del giudice del lavoro per gli operai deceduti per malattie polmonari Una delle famiglie aveva chiesto 1,2 milioni: «Nessun dispositivo di protezione»
Foto Agenzia Candussi/ Favarato/ Marghera, via delle industrie/ Vista dalla banchina di via delle industrie
Foto Agenzia Candussi/ Favarato/ Marghera, via delle industrie/ Vista dalla banchina di via delle industrie

MARGHERA. La storia si ripete, ogni volta con il suo carico di dolore. Il tribunale del lavoro di Venezia ha nuovamente condannato l’Autorità Portuale per il mare Adriatrico settentrionale a risarcire due famiglie di operai che per anni avevano lavorato a Porto Marghera, a stretto contatto con l’amianto, pur senza alcun tipo di protezione. Due storie tra loro del tutto simili: per avere giustizia, almeno dal punto di vista monetario, gli eredi si sono dovuti rivolgere alla giustizia contestando il fatto che il datore di lavoro non si fosse adoperato per tutelare la salute dei propri dipendenti, non dotando il personale di alcun dispositivo di protezione.

Per il primo operaio, la famiglia aveva chiesto un risarcimento di quasi 1,2 milioni di euro al Porto. L’uomo era morto per un adenocarcinoma ai polmoni dopo aver lavorato dal 1957 al 1987 come addetto al carico e scarico delle merci. Richiamando un pronunciamento del 2010, la giudice Chiara Coppetta Calzavara nella sentenza ricorda come «Le deposizioni testimoniali hanno univocamente acclarato che quantomeno sino al 1979-1980 l’amianto arrivava al Porto di Venezia a bordo delle navi, in sacchi di iuta che spesso all’atto della virata si rompevano». Uno scenario, questo, che è stato confermato più e più volte in tribunale nel corso dei procedimenti per le morti causate dall’inalazione delle fibre di amianto.

La consulenza del medico legale aveva accertato che l’operaio «fu affetto in vita da patologia neoplastica polmonare causalmente riconducibile ad esposizione ad amianto». «I ricorrenti hanno provato l’insalubrità dell’ambiente lavorativo e il danno, mentre alcuna prova ha dato l’Autorità Portuale che il Provveditorato al Porto abbia adottato misure atte ad evitare o ridurre l’inalazione di fibre d’amianto da parte dei lavoratori impegnati nelle attività di carico e scarico». Di qui la decisione della giudice Chiara Coppetta Calzavara che ha stabilito un risarcimento di 175mila euro in favore degli eredi, ognuno per la propria quota.

È di 155mila euro, invece, il risarcimento deciso dalla giudice Anna Menegazzo per gli eredi di un altro lavoratore del Porto che aveva operato a Marghera dal 1969 al 1988 come scaricatore delle navi a bordo e a terra. Era morto per un mesotelioma pleurico. Inutili in entrambi i casi i tentativi dell’Autorità Portuale di scaricare le proprie responsabilità. Le sentenze potranno ora essere impugnate in appello dalle parti.

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