Dopo Mose, il ruolo della ricerca Cnr e Corila chiedono risorse

Open day nella sede dell’Arsenale con il meteorologo Luca Mercalli. Si parla di gestione della laguna e dell’aumento del livello del mare. Ai ricercatori in trent’anni solo lo 0,2 per cento dei finanziamenti
Di Alberto Vitucci

La comunità scientifica si candida ad avere un ruolo importante nella gestione del Mose. Non sempre in questi anni gli scienziati hanno potuto fare ricerche indipendenti. Adesso la conclusione dell’opera, annunciata per il giugno del 2018, pone un problema serio. Non soltanto chi gestirà la manutenzione delle paratie mobili. Ma chi ne controllerà gli effetti e condurrà il monitoraggio della laguna. Se n’è parlato ieri mattina durante l’Open day organizzata nella sede del Cnr, il Consiglio nazionale delle Ricerche, all’Arsenale. Ospite d’onore il meteorologo Luca Mercalli, che ha illustrato gli ultimi studi sul riscaldamento del pianeta e l’innalzamento previsto del livello dei mari. Anche 80 centimetri entro il 2100, mentre nel progetto Mose il dato di partenza era di 23 centimetri. Un cambio di scenario che potrebbe costringere a chiudere le dighe un giorno sì e un giorno no, con gravi danni all’equilibrio ambientale della laguna.

«Bisogna incentivare la ricerca», ha detto Pierpaolo Campostrini, direttore del Corila, consorzio di ricerca che comprende le Università e il Cnr, «la gestione del Mose sarà difficile e bisognosa di risposte a problemi molto complessi. Senza scienza non c’è salvaguardia». Una soluzione che adesso rispunta sarebbe quella ad esempio di chiudere una sola bocca di porto. Annunciata come novità dall’ingegnere Enrico Foti, catanese consulente del commissario del Consorzio Venezia Nuova Francesco Ossola. Ipotesi già avanzata nel 2007 dall’ingegner Giovanni Seminara, dell’Università di Genova, quando nel 2007 aveva bocciato le alternative al Mose. «Ma bisogna studiare queste ipotesi da un punto di vista scientifico, con adeguati modelli e finanziamenti per la ricerca», dice Campostrini, «per conoscere anche in modo previsionale ciò che accadrà dell’ecosistema lagunare».

Alcuni riflessi delle opere del Mose sono già evidenti. Come l’aumento della velocità delle correnti e dell’erosione nelle aree scavate per far posto all’isola artificiale e alle spalle del Mose. Ma anche la subsidenza. Gli studiosi del Cnr veneziano hanno scoperto che il cedimento del terreno sotto il Mose è molto più accentuato di quello medio nel resto della laguna. 8 centimetri in pochi anni rispetto a due centimetri. La causa, forse l’enorme peso dei cassoni piantati sui fondali. Ma anche assestamenti delle nuove infrastrutture. Che pongono problemi rilevanti, visto che la tolleranza dichiarata dai progettisti del Mose tra un cassono e l’altro è di pochi millimetri. Chi controlla la situazione della laguna e le sue modifiche portate anche dai lavori del Mose? Una delle parole d’ordine della Legge Speciale e della salvaguardia, la “sperimentalità” è stata dimenticata. Insieme alla «gradualità e reversibilità» che la stessa Legge del 1973, dai principi ancora attuali, prescriveva per i progetti di eventuali chiusure delle bocche di porto. La spinta a finanziare la grande opera ha però travolto - a volte anche a causa della rete di corruzione - ogni dubbio. E il Mose è stato sospinto con pareri di commissioni che poi si sono rivelate coinvolte nello scandalo. I contraccolpi hanno riguardato le altre attività della salvaguardia. Tagliati i restauri, gli scavi dei rii e i fondi per la manutenzione. Ridotti a briciole i finanziamenti per la ricerca. Solo 10,3 milioni di euro del ministero e 12,7 del Corila. 23 milioni di euro in tutto in trent’anni su un totale di circa 13 miliardi. Meno dello 0,2 per cento del totale.

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