Dopo le minacce Caterina Simonsen si racconta in un libro
PADOVA. «Mi hanno detto che ero incurabile: non sarei mai guarita. È stato un momento molto brutto, ma in qualche modo anche bello: finalmente potevo accettare la realtà, sapevo quello che mi aspettava e che dovevo attaccarmi alla vita. Respiro dopo respiro». Caterina Simonsen, una ragazza padovana di 25 anni affetta da quattro malattie rare che la costringono ogni giorno a restare attaccata a un respiratore per 20 ore e ad assumere un mix di 30 medicine, e che nei mesi scorsi è balzata all«onore» delle cronache per aver ricordato che in certi casi la sperimentazione sugli animali salva vite umane, ed ha ricevuto per questo minacce di morte, parla al telefono dal suo letto d’ospedale. Dall’altra parte del filo c’è Daniele Mont d’Arpizio, redattore del giornale web dell’ Università di Padova. Nasce così il libro »Respiro dopo respiro« (PiEmmeVoci) che racconta la sua storia, la sua malattia, le sue difficoltà di ogni giorno.
Secondo Caterina, i test su animali non sono barbarie di persone senza sensibilità, ma un mezzo attualmente insostituibile per produrre farmaci il più sicuri possibile e cercare di curare malattie gravi. Come le sue. Chi è Caterina Simonsen. Lei non doveva arrivare ai 9 anni, invece, grazie alla ricerca e a un coraggio da guerriera, oggi ne ha 25. A dicembre è intervenuta sul web per dire la sua. Il giorno in cui ha ricevuto le minacce di morte era a casa da sola e, spaventata, ha chiamato i carabinieri. Ma Cate non vuole farsi spaventare, vuole dare il suo contributo, far riflettere. E lo fa raccontando la sua storia, la sua vita strappata respiro dopo respiro, il suo entusiasmo, le sue speranze. Il suo amore per gli animali, che l’ha spinta a studiare veterinaria. «Metà Italia - confida nel libro - crede di conoscere la mia storia e mi sostiene. All’altra metà non interessa conoscerla, e mi odia. Io stessa comincio a essere confusa, non so più chi sono, se una vittima, un agente del capitalismo farmaceutico o una pazza isterica con manie di persecuzione. Chi mi attacca sostiene che mi strumentalizzino, che sia una marionetta in mano a qualcuno di molto più grande. Come se il fatto di essere malata mi rendesse per forza di cose fragile, malleabile, priva di cervello e forza di volontà. Per difendermi mi rinchiudo nel mio guscio. Non guardo la tv e tengo spesso i telefono spento. Anche perchè al di là delle parole, la malattia non dà tregua. Ho una strana sensazione, la chiamo ’fiato sul collò. L’impressione che il momento stia arrivando, che da un giorno all’altro possa finire ogni cosa, e allor chi e se ne importa della ricerca, dei nazianimalisti e di tutto il resto. Ci sono attimi in cui mi scoraggio, perdo la speranza, la voglia di dirmi ’Ancora, forza, vai avantì. Attimi, durante i quali la parola ’domanì scompare dal mio vocabolario».
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