Donatella annaspava in mare e Giovanni non lanciò salvagenti
SPINEA. Si apre il processo per la morte di Donatella Friani, la donna di Spinea di 49 anni vittima di un incidente in mare il 24 ottobre 2014, mentre era al largo di Pellestrina con il compagno Giovanni Raimondi.
Ci sono voluti due anni e mezzo per arrivare in aula, con imputato per omicidio colposo lo stesso Raimondi: accogliendo la richiesta del pubblico ministero Massimo Michelozzi, titolare del procedimento penale, il giudice per le indagini preliminari (gip) Alberto Scaramuzza ha infatti disposto il rinvio a giudizio per il sessantasettenne di Cadoneghe (Padova), compagno della donna, proprietario e, al momento della tragedia, timoniere dell’unità da diporto da cui Donatella Friani è caduta, scomparendo tra i flutti dell’Adriatico. La barca, peraltro, è risultata priva di copertura assicurativa.
Quella sera la coppia aveva cenato a bordo della “Jennifer”, ormeggiata in una darsena sul Brenta, per poi salpare verso Pellestrina. Un viaggio difficile per le pessime condizioni meteo, con il mare mosso e onde alte due metri, tanto che tutte le altre imbarcazioni non si erano mosse. Secondo il racconto di Raimondi attorno a mezzanotte, mentre l’imbarcazione si trovava a un miglio e mezzo dalla costa, all’altezza dello stabilimento Sand Beach di Sottomarina, la tragedia: per cause mai chiarite fino in fondo, la donna, che si trovava sul ponte della barca, è scivolata in mare, senza più riemergere.
Inutile l’allarme lanciato dal compagno alla Capitaneria di Porto di Chioggia e inutili anche i soccorsi: il corpo di Donatella, annegata, è stato rinvenuto poche ore dopo. Sconvolti i famigliari della donna, che hanno trovato però la forza di chiedere chiarezza sull’accaduto, manifestando subito forti perplessità sulle operazioni di soccorso messe in atto da Raimondi.
L’uomo ha riferito di aver sentito la compagna chiedere aiuto e aver puntato i fari dell’imbarcazione per cercare di individuarla tra le onde e recuperarla a bordo. I famigliari della donna però si sono sempre chiesti per quale motivo l’uomo non abbia gettato in mare alcun salvagente a cui la donna potesse aggrapparsi. Per far luce sulle circostanze della tragedia, la famiglia Friani si è rivolta allo Studio 3A di Mestre, che nel frattempo ha rilevato come la barca non fosse nemmeno assicurata: la polizza infatti risultava sospesa dal 23 settembre 2014 e a nulla è valso, da parte del proprietario, riattivarla il 27 ottobre, tre giorni dopo l’incidente. «Una scoperta che ci ha lasciato di sasso e ci ha costretti a interfacciarci con il Fondo vittime della strada», spiega il presidente di Studio 3A, Ermes Trovò, «il cui iter è notoriamente più tortuoso».
Questa mattina il via al processo, con Raimondi rinviato a giudizio: «perché per negligenza, imprudenza e imperizia, non ha posto in essere manovre idonee a portare l’unità da diporto sul punto di recupero della Friani e per inosservanza delle norme sulla disciplina della navigazione, non avendo gettato in mare in direzione della passeggera, subito dopo la sua caduta, il più vicino salvagente, né i cavi presenti sull’imbarcazione».
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