Don Torta: «I miei primi ottant’anni sempre dalla parte degli sconfitti»

Il sacerdote paladino delle commesse e dei risparmiatori traditi: «Il denaro è uno strumento per vivere con dignità»  
Foto Agenzia Candussi / ARTICO / DESE via ALTINIA / DESE TESTINA DON ENRICO.
Foto Agenzia Candussi / ARTICO / DESE via ALTINIA / DESE TESTINA DON ENRICO.

MESTRE. Non ama le etichette, specialmente quelle politiche, rifugge i paroloni e si schernisce quando qualcuno lo definisce il prete che ha il coraggio di difendere gli “ultimi” e sporcarsi le mani con materie quali i crack delle banche o il commercio. Eppure don Enrico Torta, che oggi compie 80 anni vissuti in un solo fiato, è un sacerdote tutto d'un pezzo che ancora riesce a scandalizzarsi per quelle che definisce “ingiustizie inaccettabili”.

I primi ottant'anni di don Torta, il prete dalla parte degli sconfitti


Come si sente?

«Sono contento di essere nato a Venezia, di avere corso per il campo di San Giacomo Da L’Orio, la più bella parrocchia della città lagunare, di avere goduto la Venezia di quel tempo, una Venezia dei veneziani, tra campi e calli, quando ancora si segnava la porta da calcio sul campanile della chiesa. Ricordo un patronato con dei preti meravigliosi e grazie a uno di loro sono entrato in seminario, dove ho passato dieci splendidi anni».

Chi era allora il Patriarca?

«Era Giovanni XXIII, futuro Papa, e noi eravamo in più di duecento in seminario».

Oggi è più dura essere preti con le super parrocchie?

«Credo di sì. Il pericolo è quello di portare a casa frustrazioni, di consumarsi per tutti e perdere il contatto con la gente. Forse bisognerebbe lasciare alle comunità molte delle competenze che noi preti crediamo nostre. Il fatto è che spesso le comunità sono ferme a un concetto religioso più legato all’esteriorità che alla vera ricerca di Cristo».

Si guarda mai indietro?

«Ringrazio il Signore di avermi fatto il regalo del sacerdozio e ringrazio le tantissime persone che ho incontrato e che mi hanno aiutato a capire quale dono è stato Gesù per l’umanità. Cristo sa che gli voglio bene e che cerco di amare le persone perché sono suo sacramento. Questa è un’età da vivere con intensità, l’età in cui si comincia a fare un bilancio di ciò che si è costruito, del bene che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto, i peccati di omissione che ognuno ha in quest’unica esperienza sulla terra. Vivo con serenità, perché credo nella misericordia di Dio e so di essere in una botte di ferro».

E’ stato definito uno degli ultimi preti che difendono i più deboli…

«Ci sono persone che fanno e hanno fatto molto più di me nella Chiesa. Sono sempre stato un uomo che ha cercato di condividere i gravi dolori delle persone che ho incontrato facendo miei i due comandamenti che dicono di amare Dio e il prossimo come se stesso».

Chi sono gli ultimi nella nostra società?

«Oggi le povertà che viviamo sono tantissime, ma le più grandi appartengono alla mancanza di relazione d’amore. Le persone sono sole, non si sentono amate, ognuno è chiuso nei propri interessi. La nostra è una società povera, non solo economicamente. Stanno “cosificando” la vita come ripeto spesso, il consumismo ci riduce a oggetti, siamo uomini ma non siamo umani. L’augurio che faccio è proprio quello di ripensare l’impegno umano e sociale oggi alla deriva. Per questo spero che le persone di buona volontà possano impegnarsi per recuperare la dignità di essere persone davvero umane».

In questi anni è stato paladino delle battaglie bancarie e delle commesse senza turni di riposo...

«Mi sono battuto contro le banche e l’usura perché non è giusto svendere la vita per fare denaro, il denaro serve ad assicurare un’esistenza dignitosa, ma le banche in determinati casi hanno defraudato le persone della loro stessa vita. Non parliamo di pezzi di carta, ma di uomini ai quali è stata tolta la serenità. E’ un omicidio collettivo che stiamo accettando, perché non siamo più capaci di ribellarci dentro di noi, dobbiamo aprire gli occhi».

Bisognerebbe essere un po’ più sessantottini?

«Sì. Io l’ho vissuto quel periodo, mi ha dato tanto, avevamo tutti una battaglia comune per i diritti da portare avanti. Oggi per il denaro siamo pronti a uccidere, è il dio di questo mondo. Io ho incontrato solo Cristo su questa terra e sono convinto che solo i suoi insegnamenti possano ridare vita a questa società. Chi crede deve portare avanti i grandi problemi della dignità umana».

Quali sono le speranze di don Torta?

«Vorrei che tutti si impegnassero per una società in cui la giustizia trionfi, perché la giustizia porta pace e la pace porta dignità e umanità alle donne e agli uomini». —
 

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