Don Armando Trevisiol fa novanta anni. «Ora serve una casa per i senzatetto»
Lucido, schietto, proiettato al futuro, don Armando Trevisiol, il prete più famoso della città compie oggi 90 anni. Un solo obiettivo in testa: aiutare chi ha meno. Un Robin Hood dei giorni nostri, che negli anni ha costruito un impero di alloggi per gli anziani forgiando un modello di welfare.
Don Armando, se non avesse fatto il prete, cosa sarebbe diventato?
«Sicuramente falegname, come mio padre».
L’elenco delle sue opere (Don Vecchi), è infinito...
«Sì. Tutti mi chiedono delle strutture che ho messo in piedi, ma non sono la cosa sola e più importante. Negli anni mi sono speso per la scuola, ho insegnato alle magistrali, al Pacinotti, ai maestri cattolici. Sono stato assistente della San Vincenzo, abbiamo aperto la mensa di Ca’ Letizia. Mi sono impegnato moltissimo nella stampa. Ho seguito 200 scout, visitato famiglie per 35 anni, mi sono occupato degli sposi».
Si ricorda quando sdoganò le “chierichette” a messa?
«Mi beccai un richiamo dell’allora vicario monsignor Giuseppe Visentin».
Ha sempre avuto a che fare con il denaro...
«E’ vero. Davvero grosse masse di soldi, ma non mi ritengo un manager, tanto che ho sempre avuto il complesso di non saper amministrare bene. Mai tenuto nulla per me, ho sempre agito nella massima trasparenza e onestà».
E’ per questo la gente si fida tanto di lei?
«Le persone vogliono una carità concreta, tangibile, non simbolica. Questo ho sempre fatto. Monsignor Vecchi mi diceva “don Armando, se dai 50 euro a un povero fai bene, ma se realizzi una struttura come il don Vecchi, lo aiuterai per i prossimi 100 anni e aveva ragione. Oggi ci sono anziani con pensioni minime che da noi vivono dignitosamente e non se ne vogliono più andare, nemmeno quando diventano non autosufficienti».
L’ultima fatica…
«L’ipermercato solidale procede, aprirà a settembre e colmerà una mancanza, ma ho un rimpianto. Non sono riuscito a far fare rete, a mettere in circolo e collegare tutte le realtà caritative della città come avrei voluto, cosa che mi piacerebbe enormemente e per questo lascio agli altri i sogni che non ho realizzato».
Il sogno nel cassetto?
«Vorrei realizzare un ostello per i senza tetto, una struttura sobria, una sorta di monastero per chi vive all’aperto, con delle piccole cellette. Ma serverebbe l’aiuto dell’Ente pubblico, che oggi spende soldi in strutture costose, mentre se si alleasse con il privato sociale che ha maggiore creatività ed è più agile, potrebbe fare meglio e di più».
Si è spesso parlato di spostare la mensa di via Querini. Cosa ne pensa?
«I 500 senzatetto sono frutto di una civiltà, di una cultura, di una politica che noi abbiamo prodotto ed è giusto che la città se ne faccia carico. Il povero non è la vecchietta in ordine sempre profumata e dobbiamo dare a tutti una risposta per garantire a ciascuno il pane quotidiano e un tetto».
Cosa manca alla Chiesa?
«Non siamo ancora riusciti a creare una struttura ecclesiale in cui i laici siano autonomi e si prendano cura delle parrocchie».
Oggi fioriscono nuove chiese…
«E’ una cosa bella e positiva, il confronto arricchisce».
Serve una moschea in città?
«Non sono mai stato contrario. Abbiamo, però, bisogno di far decantare l’Islam, perché dal punto di vista civile e politico ha molta strada da percorrere. Vedo le donne coperte, le saluto, loro non rispondono, ma è impossibile e impensabile che tra vent’anni quelle donne non buttino via il velo».
Giovanni Paolo II o Papa Francesco?
«Papa Francesco senz’altro. Dio manda gli uomini secondo il momento storico, il nostro Papa ha coraggio e determinazione». —
Marta Artico
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