Dolo, non vedono l’infarto intestinale: muore dopo 36 ore di dolori

L’episodio nel giugno del 2012: i medici non hanno diagnosticato in tempo il coagulo di sangue a un giovane di 31 anni. Il Tribunale ha condannato l’Usl 3 a pagare 30 mila euro 

DOLO. Quanto valgono 36 ore di «lucida sofferenza», di un «dolore forte e lancinante» da parte di un uomo di 31 anni che ha trascorso così, in cosciente agonia, le ultime sue ore di vita in un letto dell’ospedale di Dolo, perché non operato in tempo per l’infarto intestinale che l’ha infine ucciso tra strazianti dolori e le grida dello zio che implorava i medici di operare il nipote? Per il Tribunale di Venezia – che ha condannato l’Usl 3 per la colpa medica – quelle 36 ore trascorse dall’accesso al Pronto soccorso alla morte valgono 30 mila euro. Si chiama “danno terminale”. La giudice del Tribunale di Venezia, Francesca Orlando Facchin, ha riconosciuto il diritto dei familiari del giovane al risarcimento per la perdita subita, ma quanto e a chi lo dovrà stabilire un’altra udienza.

La storia è quella di Andrea Tassetto, ucciso a 31 anni da un infarto intestinale non diagnosticato in tempo dai medici dell’ospedale di Dolo. Era il 26 giugno 2012.

«L’infarto intestinale, come quello cardiaco, è causato da un coagulo di sangue che ostruisce un’arteria e blocca la circolazione in un’area più o meno vasta», spiega l’avvocato Enrico Cornelio, che ha seguito il caso per la famiglia del giovane, «nell’intestino è più subdolo, causa atroci dolori addominali, ma la morte arriva solo in caso di mancata o tardiva diagnosi. L’ospedale si è difeso così, sostenendo che una diagnosi tardiva può arrivare: ma l’analisi radiologica aveva evidenziato una “falce d’aria” nel peritoneo, fin all’arrivo di Andrea al Pronto soccorso».

Il giovane venne subito sottoposto ad una indagine laparoscopica con fibre ottiche, che si concluse escludendo la perforazione: «Ma era come cercare un buchetto in una camera d’aria di una bicicletta», sostiene l’avvocato Cornelio, «i medici, sapendolo depresso, decisero di sottoporre Andrea solo a trattamenti palliativi, chiamando a consulto anche uno psichiatra. Ci fu una violenta lite tra i sanitari e lo zio Gino, in casa del quale viveva Andrea, che solo minacciando denunce ottenne che alla fine fosse eseguito un intervento in laparotomia, per aprire e cercare». Quel che i chirurghi trovarono fu l’infarto intestinale: ma necrosi e setticemia avevano ormai devastato l’intestino e Andrea morì in sala operatoria.

«In buona sostanza e in estrema sintesi», scrive il medico legale Nicolai, consulente del giudice, «il primo intervento chirurgico del 24 giugno 2012 non fu adeguato al caso, perché si poteva e doveva intervenire diversamente, l’attesa tra primo e secondo intervento fu troppo lunga e non giustificata dalle condizioni tutt’altro che rassicuranti in cui versava Tassetto, tanto che il secondo intervento fu effettuato in fase preterminale e destinato all’insuccesso». Per il medico legale, un intervento immediato «avrebbe concesso a Tassetto concrete, importanti, chances di sopravvivenza».


 

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