Ditta Berti, da dipendenti a proprietari

Gli operai in cooperativa si stanno comprando l’azienda chiusa dallo scorso luglio e oggi fanno ripartire la produzione
Di Francesco Furlan
Agenzia Candussi, giornalista Furlan. Inaugurazione ditta Berti via Triestina 163 Tessera. nella foto il presidente della Cooperativa Pasqualetto
Agenzia Candussi, giornalista Furlan. Inaugurazione ditta Berti via Triestina 163 Tessera. nella foto il presidente della Cooperativa Pasqualetto

Da dipendenti a proprietari dell’azienda che era sì fallita, ma non da buttare. «Lo sapevamo, ci abbiamo creduto. Quante notti senza dormire e ora ce l’abbiamo fatta», dice il nuovo presidente della cooperativa dei lavoratori, l’ex dipendente Attilio Pasqualetto, da 38 anni in fabbrica da responsabile tecnico e oggi animatore del gruppo di 22 lavoratori che ha deciso di crederci. Il sogno dei dipendenti della Berti, impresa di Tessera del settore vetrocamera e arredamenti, aperta nel 1962, è diventato realtà. L’anno scorso l’azienda è fallita dopo un anno di difficoltà, soprattutto finanziarie. Il 17 luglio è stato l’ultimo giorno di lavoro e per i 47 dipendenti l’unica strada possibile sembrava quella degli ammortizzatori sociali. In 22 invece hanno creduto nell’azienda, nella possibilità di competere, ancora, nel mercato. Pasqualetto, in azienda da 38 anni, lo sapeva bene. Lui e i suoi colleghi hanno investito la loro mobilità - tra gli 11 e i 21 mila euro a testa per un totale di 338 mila euro - e hanno deciso di dare vita a una «splendida società cooperativa di lavoratori» per usare le parole del presidente, ieri, all’inaugurazione della nuova stagione della Berti, cui hanno partecipato, tra gli altri, il presidente della Regione Luca Zaia, il presidente di Legacoop Veneto Andriano Rizzi, e l’assessore Simone Venturini. I lavoratori hanno affittato il ramo d’azienda con opzione d’acquisto. Ci hanno creduto, ma fare tutto da soli sarebbe stato impossibile.

Hanno avuto il supporto, istituzionale o finanziario, di Legacoop, Filctem Cgil, Comune di Venezia e Regione. Tutti a remare nella stessa direzione, per la costruzione dei rapporti con le banche e i finanziatori. Perché i soldi servivano e quelli della mobilità non erano sufficienti. Coopfond, il fondo mutualistico di Legacoop, interverrà con ulteriori 200mila euro di capitale sociale (oltre a 20mila euro per sostenere le spese di costituzione); Cfi (investitore istituzionale delle Centrali cooperative e del Ministero dello Sviluppo economico) da parte sua ha deliberato la propria partecipazione quale socio finanziatore con una quota di 50mila euro e con un mutuo a dieci anni di altri 200mila. Totale: la leva finanziaria è oggi pari a 808mila euro; è in corso anche l’istruttoria con Veneto Sviluppo spa, a cui si sta chiedendo di diventare socio finanziatore. I fidi bancari degli istituti che hanno dimostrato di credere nel progetto (Banca Etica e Intesa San Paolo) ammontano a 450mila euro. Unipol Sai ha garantito la copertura sul fronte delle fidejussioni e delle assicurazioni.

Trovati i soldi, ora stanno tornando anche le commesse. Una parte di quelle perse a luglio, e una parte di commesse nuove. Tanto che dei 22 soci sono 13 quelli che da oggi si metteranno al lavoro ma «con gli ordinativi che abbiamo», dice Pasqualetto, «probabilmente gli altri nove potranno tornare a lavoro già da giugno». E se poi gli ordinativi riprenderanno a galoppare, anche gli altri ex dipendenti - quelli che hanno ritenuto di non aderire al progetto - potranno tornare tra le corsie del capannone e le macchine a controllo numerico che si occupano dei tagli del vetro. A chi gli chiede di ripercorrere i mesi trascorsi tra la paura e l’angoscia, lui spiega che «non è stato facile, molti di noi hanno avuto dubbi e paure, ma piuttosto che riflettere sul passato oggi è meglio concentrarsi sul futuro». C’è un capannone di 4 mila metri quadri da far funzionare e clienti da andare a cercare.

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