Disperati dal Kurdistan 38 sfruttatori a giudizio

Trentadue sono accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina Altri sei di estorsione e percosse: imponevano la “tassa rivoluzionaria”

Il giudice veneziano Marta Paccagnella ha rinviato a giudizio due diversi gruppi di curdi accusati, i primi 32, di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (verranno processati dal Tribunale di Venezia il 7 maggio del prossimo anno), i secondi sei di associazione a delinquere, estorsione e percosse, che verranno giudicati il 14 aprile 2014. Entrambe le inchieste e le richieste di rinvio a giudizio sono state del pubblico ministero Giovanni Zorzi.

Un flusso di disperati, silenzioso, poco visibile e non sotto i riflettori mediatici come a Lampedusa. Un flusso continuo, costante, che in nemmeno due anni ha fatto arrivare in Europa oltre cinquemila clandestini provenienti dal Kurdistan iracheno. Transitati quasi tutti attraverso i porti di Venezia e Ancona. Gente che ha venduto pure l'anima per ottenere un posto in questi viaggi organizzati da criminali che in due anni hanno incassato oltre due milioni di euro. Gli agenti della Squadra Mobile e della Polizia di frontiera di Venezia, coordinati dal Servizio centrale operativo della polizia, avevano arrestato quattro anni fa 46 stranieri tra curdi, giordani e afghani con l'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Altre 24 persone erano ricercate in tutta Europa. L'operazione, la prima del genere nel nostro continente, aveva visto impegnate anche le polizie di mezza Europa. Indagini avviate a seguito dell'individuazione, il 23 maggio 2006, al porto di Venezia, di 36 clandestini nascosti in un autoarticolato imbarcato su una nave proveniente da Patrasso (Grecia).

A far scattare le indagini della seconda inchiesta, lo scorso anno, un’aggressione subita da un cittadino curdo a Venezia, che per la prima volta aveva riferito i nomi delle persone che lo avevano picchiato e soprattutto aveva raccontato perché. Aveva spiegato che la maggior parte dei curdi in Italia versano una «tassa rivoluzionaria» ai militanti del Pkk. C’è chi lo fa spontaneamente e chi, come lui, lo faceva perché costretto con minacce e percosse. Lui gestiva un kebab in laguna e non aveva più l’intenzione di pagare. La Digos veneziana aveva intercettato i telefoni, aveva seguito i sospettati e aveva in questo modo ricostruito come viene finanziato il partito che si batte per l’indipendenza del Kurdistan dalla Turchia. Sia nel primo caso sia nel secondo il Tribunale del riesame aveva ridimensionato le accuse, ora le tesi dell’accusa dovranno misurarsi in un processo davanti al Tribunale. Due dei primi 32 hanno patteggiato una pena di un anno di reclusione.(g.c.)

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