«Disastro colposo» Polimeri sotto inchiesta

I pm vogliono accertare le cause dell’incendio e del cattivo funzionamento delle fiaccole
Polimeri Europa sotto inchiesta per l’incendio dell’altro ieri. Il reato ipotizzato è «disastro colposo»: sotto sequestro il tubo e la pompa collegata al serbatoio di uno dei due compressori dell’impianto CR1/3, dal quale è uscito l’olio grezzo che a contatto con il tubo di vapore ad altissima temperatura, ha causato il principio d’incendio. Sono queste le decisioni prese dai pm Carlo Mastelloni e Lucia D’Alessandro dopo l’ennesima «nube tossica» - la ventesima negli ultimi 4 anni - sprigionatasi martedì. Dopo un’intera mattinata passata al Petrolchimico per ispezionare il luogo dove l’altro ieri si è verificato l’incendio - che ha originato il «fuori servizio» del cracking con l’utilizzo delle fiaccole - il pm D’Alessandro, coordinata dal pm Mastelloni e coadiuvato da un suo consulente e dai tecnici di Arpav e Vigili del Fuoco, ha deciso di mettere sotto sequestro solo le apparecchiature (il tubo e la pompa del serbatoio di un compressore) interessate dall’incidente di martedì scorso.


Il reato ipotizzato è «disastro ambientale colposo» a carico dei responsabili dell’impianto. Il CR1/3 in ogni caso resterà in funzione ma a produzione zero per almeno una decina di giorni, il tempo necessario per riparare i danni dell’incendio. Di conseguenza anche le altre aziende (Ineos e il Clorosoda di Syndial) di Porto Marghera, che utilizzano etilene e propilene forniti da Polimeri Europa, sono già al «minimo tecnico d’esercizio», come pure gli impianti di Ferrara e Mantova, collegati via pipe-line. L’inchiesta della magistratura cercherà di accertare non solo se l’incendio dell’altro ieri è dovuto ad una cattiva manutenzione di tubature, valvole e pompe, ma anche i motivi (e le eventuali responsabilità) per cui si ripetono i «fuori servizio» e il cattivo funzionamento della combustione delle fiaccole, con una maggiore emissione di sostanze tossiche e cancerogene in atmosfera. L’impianto CR1/3 di Polimeri Europa - che 5 anni fa Eni tentò, senza riuscirci, di vendere alla multinazionale saudita Sabic - occupa a Porto Marghera poco più di 300 dipendenti, produce etilene, propilene, miscele di idrocarburi e benzina di cracking ed è entrato in esercizio nel lontano 1972. Nel 1991 è stato potenziato con l’entrata in funzione dell’impianto CR20/23 per la produzione di toluene, benzene e dicilopentadiene. Il 79 per cento dei prodotti chimici che escono da questi impianti finiscono, attraverso tubi, alle altre aziende che operano al Petrolchimico di Porto Marghera e, via pipe-line, a quelli di Mantova e Ferrara.


Sono centinaia, forse migliaia, le tonnellate d’idrocarburi bruciati dalle due fiaccole del cracking, ben visibili tanto da Venezia che dalla terraferma. I «fuori servizio» con l’utilizzo delle fiaccole sono almeno una ventina negli ultimi quattro anni, sempre all’impianto CR1/3 che produce oltre 1 milione e mezzo di combustibili e prodotti chimici di base. I «fuori servizio» dell’impianto, sono quasi sempre stati causati da un guasto di uno dei due giganteschi compressori che fanno funzionare l’impianto di raffinazione della virgin-nafta. Guasti che sono continuati anche dopo la sostituzione di uno dei due compressori avvenuta nell’agosto del 2004. Anzi dopo quella data i fuori servizio con l’utilizzo della fiaccola sono diventati addirittura più frequenti. Per ben tre nell’ottobre del 2004 e poi altri sette negli ultimi due anni, compresi quelli di martedì e di quindici giorni fa. Inoltre, ogni qual volta si attiva il sistema di messa in sicurezza (fuori servizio) dell’impianto, le fiaccole non funzionano a dovere e le sostanze tossiche in lavorazione vengono bruciate solo parzialmente, come dimostra il colore nero del fumo. Già due anni fa i tecnici di Arpav, assessorato provinciale all’Ambiente e Vigili del Fuoco avevano fatto presente al Prefetto che il sistema di avvio delle fiaccole non ha un sufficiente apporto di vapore e causa una combustione «parziale o pessima».

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia