Digital Venice 2014/ Nella Ue due velocità di marcia

Uno degli obiettivi costantemente indicato da Matteo Renzi come prioritario è il recupero della vocazione all’innovazione, che l’Italia sembra aver smarrito negli ultimi decenni. Ora che si trova da premier italiano a presiedere per sei mesi il Consiglio dell’Unione Europea, Renzi propone a livello continentale lo stesso tema con altrettanta forza

Chi ha seguito l’escalation di analisi, programmi, annunci, progetti, accelerazioni, frenate e Leopolde attraverso la quale in dieci anni Matteo Renzi è passato dalla presidenza della Provincia di Firenze a quella del Consiglio dei ministri sa che uno degli obiettivi da lui costantemente indicato come prioritario è il recupero della vocazione all’innovazione, che l’Italia sembra aver smarrito negli ultimi decenni. Ora che si trova da premier italiano a presiedere per sei mesi il Consiglio dell’Unione Europea, Renzi propone a livello continentale lo stesso tema con altrettanta forza: nel discorso pronunciato di fronte all’Europarlamento ha detto che il nostro paese intende avviare il processo che consentirà «all’Europa di ritrovare il ruolo di avanguardia sull’innovazione» perché «deve competere con i grandi». E i «grandi» stanno tutti fuori dalla Ue, nella maggior parte dei casi dall’altra parte dell’Atlantico.

Con coerenza, il primo atto pubblico del semestre italiano è così un evento che chiama a raccolta la politica e l’imprenditoria europea per discutere i temi della digitalizzazione, con l’ambizione di definire quali strategie già in atto vanno affinate e quali devono essere inventate ex novo per rimettere in moto l’Unione nel suo complesso. Nell’ambiziosa sfida digitale che sarà lanciata, nelle intenzioni di Renzi, da lunedì a sabato a Venezia sono - non solo virtualmente - comprese tutte le altre che nei prossimi mesi e anni attendono l’Europa a più velocità, dagli investimenti per la crescita alla lotta alla disoccupazione. A mio giudizio, però, la situazione europea non può essere rappresentata come un unicum.

Quel che unisce Germania e Italia, Francia e Spagna, Polonia e Olanda è l’urgenza di trovare risposte comuni alla pervasività delle imprese globali che hanno sede extracomunitaria ma godono del forte appoggio dei propri governi, come avviene negli Stati Uniti per Google, Amazon, Apple, eBay, Facebook e via enumerando.

La Ue deve realizzare anzitutto l’equità fiscale che sta penalizzando l’imprenditoria innovativa continentale rispetto a quella che ha i propri centri nevralgici altrove. Per il resto, le situazioni sono variegate. In particolare l’Italia si ritrova in condizioni di difficoltà a causa dei ritardi accumulati. Quando ai tempi dei governi Berlusconi si parlava di «digitale» e si faceva l’elogio dei passi avanti fatti nel nostro paese, ci si riferiva alla tecnologia che serviva a utilizzare più massicciamente l’etere per l’emittenza televisiva. Che era quel che importava al presidente del Consiglio e alla sua Mediaset. Da allora, nonostante molti proclami, l’Agenda Digitale Italiana è rimasta poco più che un elenco di cose da fare, senza nemmeno stabilità e certezze nella governance.

I lavori dei prossimi giorni dovrebbero portare alla stesura della cosiddetta Dichiarazione di Venezia, che definirà la visione e «le linee guida strategiche per un’Agenda Digitale Europea più forte», perché «trasformare la Ue in un’economia digitale significa costruire un’architettura basata su tre infrastrutture: regolamentari, fisiche e umane» (lo mette nero su bianco il programma italiano per il semestre). Ma si deve fare in modo che tutto questo non si traduca, una volta di più, in condizioni differenti paese per paese. Se così fosse noi italiani finiremmo, anche per la nostra congenita incapacità a tradurre le linee guida in azioni concrete, per allontanarci ulteriormente dall’Europa che corre. Per fortuna, Renzi ne è consapevole.

@claudiogiua

 

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