Diecimila gabbiani incubo della città
Da maestoso a ingordo, da reale a urbano, capace di ingozzarsi di rifiuti, decapitare colombi e acchiappare in aria le tartine, i gelati e i sandwich che ondeggiano sui vassoi dei camerieri di Piazza San Marco. Non ci sono più i gabbiani di una volta, verrebbe da dire, alla vista della bulimia che sembra aver colpito i discendenti di Jonathan Livingston, costantemente in picchiata verso qualcosa di cui cibarsi, ovunque sia, comunque sia e di chiunque sia.
Quasi 10 mila sono quelli che attualmente gravitano sull’immensa quantità di cibo che ogni giorno i turisti riversano nelle calli e nei campi e su quella contenuta nei sacchetti delle immondizie lasciati per strada. Un banchetto quotidiano en plein air, gratis e senza sforzo. E il punto di partenza per spiegare gli attacchi di una seppur vaga hitchcockiana memoria è proprio questo.
Lo spiega bene l’ornitologo veneziano Alessandro Sartori, che l’anno scorso aveva collaborato allo studio di Maurizio Fraissinet intitolato “La colonizzazione dei centri urbani italiani da parte del gabbiano reale” commissionato dall’Associazione nazionale comuni italiani preoccupata per l’avanzata degli uccelli.
«Anni fa c’è stata un’esplosione dell’aumento dei gabbiani perché avevano iniziato a cibarsi nelle discariche dove hanno trovato cibo a dismisura», spiega l’esperto. «Adesso che le discariche iniziano a essere chiuse, il gabbiano si è stabilizzato ma nel frattempo abbiamo creato un mostro».
La livrea bianca del piumaggio, il becco color giallo fumetto, l’apertura alare che arriva a un metro e mezzo nulla possono contro la nuova immagine del gabbiano. L’ammazza-colombi, l’ingoia-budella, il trancia-rifiuti, il ruba-merende. Vorace, violento e maleducato. Un mostro, appunto.
Chi l’aveva amato con il romanzo breve di Richard Bach, con Corto Maltese o Moby Dick, ora lo guarda con altri occhi. Quelli di Sartori sono chirurgici. «Il fenomeno dei gabbiani all’interno della città è incominciato all’inizio del 2000 ed è sinonimo di opulenza, nella città povere infatti non ci sono gabbiani», spiega ancora l’ornitologo veneziano. «È inoltre un animale che si adatta moltissimo all’uomo. Il risultato, ormai da tempo, è sotto gli occhi di tutti».
Tra gabbiani con nido in centro storico, alcune centinaia, quelli con nido in laguna e quelli di passaggio da un paese all’altro - altri 8-9 mila - la città, si trova a fronteggiare quasi 10 mila becchi affamati abituati a sbafarsi quattro pasti al giorno. «Venezia è un luogo ideale per loro», continua il ricercatore, «perché qui stanno bene e hanno cibo in abbondanza. Quindi aumentano. In alcuni luoghi di contatto con il pubblico, dove naturalmente c’è cibo, i gabbiani imparano ad avvicinarsi ai turisti e a chiederlo. Se non lo ricevono, si servono da solo portando via quel che trovano dai tavolini dei bar».
L’aggressività, insomma, arriva dalla famelicità e la famelicità dal vizio. Ragion per cui in molti ora invocano misure drastiche e soluzioni rapide. Come il falco. Un falco altrettanto affamato a sentinella di Piazza San Marco. Un falco in picchiata sui gabbani a loro volta in picchiata sui colombi. Un falco che peraltro c’è già, ma per i fatti propri, che sverna sul campanile di San Marco e che preferisce pasteggiare a piccioni - più digeribili - piuttosto che a gabbiani. Al di là della truculenza, quindi, restano i dubbi sull’effettiva efficacia del rapace. Inesistente, secondo Sartori. «Prima è necessario monitorare il fenomeno», spiega ancora il ricercatore, «e per fare una stima bisogna guardare i tetti e vedere in quanti e come si muovono». Una volta fatta la mappa, secondo l’ornitolo è necessaria una massiccia operazione di prevenzione. «Volantini nei quali si avvisa che è proibito dar da mangiare ai gabbiani, multe a chi li nutre, controlli dei vigili». ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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