Dieci consiglieri se ne vanno, cade Striuli
CAORLE. «Metodo sbagliato, noi non ci stiamo più». È stato questo, a detta dei dieci consiglieri dimissionari, il motivo principale che li ha spinti ieri ad abbandonare l’amministrazione cittadina decidendo, così, per la fine della giunta di Luciano Striuli. Comune commissariato dopo oltre vent’anni, e forse già oggi il nome di chi governerà la città fino a maggio 2016 potrebbe arrivare sulla scrivania del segretario comunale.
A voler ascoltare le spiegazioni dei dieci, ieri sera nella sala superiore del bar Rio Terrà, erano in molti, tra cittadini, semplici curiosi e soprattutto membri e simpatizzanti dell’ormai ex maggioranza Striuli, ma a parlare sono stati solamente loro, i consiglieri di minoranza che da ben tre gruppi si sono uniti in un unico schieramento per «tutelare gli interessi dei cittadini». Così ha esordito il capogruppo Alessandro Borin secondo cui l’arrivo di un commissario non potrà che far bene a Caorle.
«Considero questo un atto di responsabilità dovuta nei confronti dei cittadini. Striuli non meritava più la nostra fiducia già dopo l’aver negato le minacce di morte ricevute sulla questione del villaggio Terme». Ma quanto hanno inciso le decisioni prese da Striuli sull’assetto urbanistico di Caorle senza il totale accordo della sua maggioranza? «Il problema non è chi ha ragione e chi no», ha detto Lorenzo Pellegrini, «ma il metodo sbagliato da sempre utilizzato dal sindaco che ha continuano dritto per la sua strada chiedendo la testa di chi gli si opponeva. Questo non è lavoro di squadra».
Fatto è che Striuli lascia la città senza un bilancio approvato con tutte le problematiche e le aspettative che da questo dipendevano. «Ci penserà il commissario», ha risposto Sabrina Teso alle domande riguardante l’avviamento delle Dmo (uffici informazione) e i progetti in essere. «Il bilancio sarà approvato e tutto continuerà nel migliore dei modi. Non dobbiamo temere il commissariamento». Decisione ponderata, dunque? Non c’era davvero una via di salvezza?
«Abbiamo aspettato fino all’ultimo proprio per tentare di capire se da parte del sindaco ci fosse la volontà di rimarginare la ferita nata dalle incomprensioni e dalla mancanza di dialogo. Tentativo vanificato», ha aggiunto Marco Giro. «Il nostro “portone” aperto si chiamava Imu», ha concluso Teso. «Se il sindaco, come promesso, avesse appoggiato la nostra richiesta di diminuire l’aliquota per le attività commerciali, sicuramente avrebbe ottenuto il nostro voto favorevole anche sul bilancio e ora non saremmo qui».
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