Diagnosi non tempestiva «Condannate i due medici»

Jesolo. Erminia Giachetto, 64 anni, fu mandata a casa e morì dopo il secondo ricovero. L’accusa: «Se la paziente fosse stata operata subito poteva salvarsi»

JESOLO. «Se ci fosse stata una diagnosi tempestiva della dissezione aortica e la paziente fosse stata operata tempestivamente, la sopravvivenza sarebbe stata del 70%. I medici Dolores Immacolata Spagnolo e Farhadullah Khan hanno avuto un atteggiamento di negligenza: i sintomi della paziente presupponevano varie patologie che dovevano essere indagate, ma i due medici non hanno preso in considerazione la causa che la porterà alla morte. Per la diagnosi sarebbe bastata una angiotac». Così il procuratore aggiunto Paola Mossa ieri al termine della requisitoria ha chiesto la condanna per i due medici del pronto soccorso di Jesolo accusati di omicidio colposo per la morte di Erminia Giachetto, jesolana di 64 anni, il 23 maggio 2013. Un anno e quattro mesi per Spagnolo, otto mesi per Khan: entrambi i professionisti, secondo la pubblico ministero, hanno avuto una responsabilità nel decesso della paziente, seppur con percentuali diverse.

Khan, infatti, era il medico che è intervenuto prima a casa di Giachetto e poi che l’ha seguita nelle prime ore al pronto soccorso. La 64enne aveva avvertito una scossa sul torace, accompagnata da un forte dolore. Alle 15.47 la donna era stata ricoverata e sottoposta agli esami previsti dal protocollo per il dolore toracico che avevano rivelato come non fosse un infarto. Alle 20 il turno di Khan era terminato e le consegne erano passate a Spagnolo. Alle 23.40 Giachetto era stata dimessa «nonostante le condizioni non fossero migliorate», ha sottolineato la pm. L’indomani mattina, la donna si era presentata dal medico di base che l’aveva indirizzata immediatamente di nuovo in ospedale, viste le condizioni. «A San Donà viene eseguita l’angiotac che i medici di Jesolo non avevano disposto e da cui emerge la dissezione aortica». La corsa in elicottero verso l’ospedale di Mestre per l’operazione non servirà. «Sarebbe bastata una angiotac che si esegue con lo stesso macchinario della tac e viene letta da un radiologo. Se fosse stata diagnosticata subito, c’erano 4 cardiochirurgie in Veneto pronte a operare la signora», ha detto la pm. Secondo la sostituto procuratore, l’approccio di Khan «è stato in gran parte corretto perché è partito dalla causa più probabile che è l’infarto, ma è mancato nell’ultima parte, quando non ha disposto l’angiotac». Quanto a Spagnolo, invece, «che aveva già il campo libero dall’attività del collega, avrebbe dovuto fare l’angiotac e non ha preso in considerazione questo esame con una certa leggerezza. Anzi, alla richiesta dei parenti di eseguire approfondimenti, li ha liquidati dicendo “Il medico sono io”».

L’avvocato Claudia De Martin, costituitasi parte civile per conto del fratello della donna, del nipote, delle nuore e del nipotino, ha chiesto un risarcimento complessivo di 340 mila euro, con una provvisionale di 170 mila euro. Per ultimo ha parlato l’avvocato Luigi Dalla Rosa, il quale ha respinto ogni accusa sostenuta dalla Procura nei confronti dei due medici. Nella sua arringa ha sottolineato tra l’altro la mancata prova che la dissezione aortica fosse già in corso il giorno precedente al decesso, quando Giachetto era stata visitata a Jesolo. La giudice monocratica Claudia Gualtieri leggerà la sentenza il 16 marzo.

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