«Delitto Vianello, azione premeditata»
Confermata in secondo grado la condanna a 30 anni per Lazzarini: «Se l’anziana avesse dato i soldi, non l’avrebbe uccisa»
Interpress/M.Tagliapietra Venezia 01.01.2016.- Delitto Francesca Vianello. Conferenza stampa arresto omicida Susanna Lazzarini. Nella foto la vittima: Francesca Vianello
«Susanna Lazzarini, il 29 dicembre 2015, si è recata da Francesca Vianello per avere del denaro. Ne aveva assoluto bisogno al punto tale che, se avesse ricevuto un rifiuto, come è accaduto, pur di averlo avrebbe ucciso Vianello. In caso contrario, se cioè Vianello avesse accolto la richiesta di Lazzarini, il proposito omicida, con la conseguente organizzazione per l’attuazione dello stesso, sarebbe almeno momentaneamente venuto meno». È uno dei passaggi chiave delle motivazioni della sentenza - depositate nei giorni scorsi - con cui, l’11 ottobre, la Corte d’assise d’appello ha confermato la condanna inflitta in primo grado a Susanna Milly Lazzarini a 30 anni per l’omicidio di Francesca Vianello, 81 anni, amica della madre. Lazzarini, rea confessa, era chiamata a rispondere dell’uccisione dell’ex dipendente del Casinò che viveva in un appartamento in Corso del Popolo, con le aggravanti della premeditazione e della rapina. Era stata la stessa Lazzarini, nel corso dell’interrogatorio dopo l’arresto, a raccontare come si era espressa davanti alla donna che poco dopo avrebbe ucciso strangolandola con il cordino: «Sento che ho tanta rabbia dentro, non mi faccia fare quello che non voglio fare. Non voglio rovinare mia madre oltre che i miei figli».
È sulla premeditazione che si è giocata una delle battaglie tra l’accusa e la difesa di Milly Lazzarini, rappresentata dall’avvocato Mariarosa Cozza, la quale ha sostenuto che non sia mai stato accertato il momento nel quale il proposito di uccidere Vianello sia maturato in Milly. Ma anche che non ci fosse nesso tra l’omicidio e la successiva rapina del bancomat con il pin.
«Lazzarini ha agito sotto la spinta del bisogno di avere dei soldi perché lei ha il vizio del gioco e le sue entrate, modeste ma non miserrime, non erano tali da permetterle di soddisfare questo suo vizio», scrivono i giudici della Corte d’assise d’appello ricordando che Lazzarini, il 23 dicembre 2015, si era presentata da Vianello per chiedere in prestito 300 euro, ricevendone 100. Il giorno successivo, Lazzarini era tornata da Vianello con la scusa di restituire i soldi, dicendo però di avere solo una banconota da 500 euro. La visita del 24 è «del tutto illogica», scrivono i giudici spiegando come non ci fosse alcun accordo per il saldo del debito il giorno dopo. «L’unica spiegazione razionale del comportamento di Lazzarini va ricercata nel contesto dell’omicidio premeditato», si legge nella sentenza, «La visita del 24 è stata un sopralluogo per visionare la scena del delitto e stabilire come avrebbe dovuto essere attuato. Al più tardi il 24 dicembre, Lazzarini aveva già deciso l’omicidio attuato il 29». Nel breve lasso di tempo tra il 24 e il 29 «Lazzarini predispone il piano di attuazione dell’omicidio recuperando il cordino e i guanti in lattice usati al momento dell’omicidio». Non viene ritenuta credibile la motivazione data da Lazzarini circa la disponibilità del cordino (a suo dire per legare un santino a una orchidea da regalare a Vianello) e dei guanti (per nasconderli alla figlia che voleva tingersi i capelli pur soffrendo di una dermatite). A ulteriore sostegno della premeditazione, il fatto che Lazzarini abbia assunto farmaci «per darsi coraggio» prima di presentarsi dalla Vianello e l’attenzione usata nelle fasi successive al delitto, in particolare nell’accortezza di chiudere la valvola del gas, evitando che i vicini potessero allarmarsi per eventuali odori di bruciato, e nel cambiarsi il cappello per camuffarsi. La sentenza potrà essere impugnata in Cassazione. Alla lettura del dispositivo, Lazzarini aveva confidato al suo avvocato di voler andare avanti.
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