Delitto Pagnussat: «Torta voleva annientare e distruggere»
MESTRE. «Ora come nel 1973, Torta ha pianificato l’azione delittuosa e l’ha attuata a distanza di tempo in relazione a una situazione per lui non accettabile: allora il sequestro della barca, ora l’invadenza della vicina nella sua vita privata». E poi ancora: «Torta si è accanito sull’anziana con lo scopo non solo di uccidere, ma di annientare e distruggere. Nel fare ciò, ha inflitto una sofferenza superflua alla vittima». Così scrive il giudice Massimo Vicinanza nella motivazioni - depositate nelle scorse ore - della sentenza di condanna con rito abbreviato a 17 anni e 4 mesi per omicidio aggravato, vilipendio e tentata distruzione di cadavere a carico di Riccardo “Ricky” Torta, 68enne mestrino autore del massacro della vicina Nelly Pagnussat, difeso dagli avvocati Giorgio Bortolotto e Antonio Bortoluzzi. La 77enne era stata finita a colpi di martello, poi fatta a pezzi con una sega elettrica. Il piano non venne concluso: Torta voleva distruggere il corpo con un tritacarne. Era il 15 gennaio 2016.
La premeditazione. «Torta non ha agito con dolo d’impeto, non ha colpito in modo così crudele a causa di una rabbia esplosiva, né la crudeltà impiegata può dirsi essere stata generata dalla morbosa condizione psichica in cui versava. Pare assodato che l’imputato avesse ideato il delitto e mantenuto il proposto di attuazione per un tempo apprezzabile», scrive il giudice. E poi ancora: «Ciò che verosimilmente Torta non aveva previsto era la copiosa fuoriuscita di sangue nel momento in cui ha iniziato a fare a pezzi il corpo». Era stato lo stesso Torta a raccontare ai periti del tribunale, il 19 aprile 2016. «Stavo scendendo le scale, avevo in mano le forbici, il martello, la sega. Mentre passavo davanti alla sua porta, la Nelly mi ha chiamato e sono entrato… sono stato io a colpire in testa con il martello la Nelly. È uscito tanto sangue... c’era sangue a terra.. poi ho usato la sega e ho fatto quello che ho fatto… poi mi hanno preso i dolori e stavo molto male».
Il vizio parziale. Secondo il giudice, «La condizione psicopatologica non ha influito sull’ideazione del delitto né sull’aspetto cognitivo del gesto efferato». È stato accertato che tre giorni prima del delitto, a Torta fosse stato somministrato il farmaco a lento rilascio per la patologia psichiatrica. Ma va tenuto conto anche dello stato psicopatologico cronico dell’omicida. Quanto al futuro, il giudice scrive: «Anche fosse assicurata l’assistenza sanitaria, nulla permette di ritenere che Torta non ricada in comportamenti molto violenti».
Sentimenti ambivalenti. Sono quelli di Ricky verso la vicina. “La Nelly mi voleva bene… era una donna fragile, piccola, tenera… anch’io le volevo bene… è stato tutto un malessere, uno stress, una malattia», ha raccontato l’omicida ai periti. Ma anche dei presunti dissapori: «Lei ascoltava quello che io dicevo e poi andava a riferire tutto a quella del piano di sotto…», ha detto Torta, ricordando anche i rimproveri per la radio troppo alta e le prese in giro per il portafiori che aveva costruito, che per Nelly assomigliava a una bara. Ciononostante non è stato individuato con precisione il movente del delitto.
L’agonia. Continua il giudice: «Torta ha scelto di condurre alla morte la sventurata vicina di casa in modo che necessariamente avrebbe dovuto essere non immediato e che ha certamente determinato agonia premortale per un tempo apprezzabile. I colpi sono stati portati anche con la parte tagliente del martello, meno micidiale e che determina maggiore sofferenza».
Le analogie con il 1973. Diverse le analogie con l’omicidio del finanziere Alberto Calascione, il 31 maggio 1973, per il quale Torta era stato condannato. In entrambi i casi c’è stata azione di schiacciamento della testa: allora con una grossa pietra, ora con un martello. Né per il primo omicidio, né per il secondo, Torta ha avuto parole che dimostrassero coscienza critica: in entrambi i casi, per lui si è trattato di «qualcosa che era successo».
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