Delitto Manca, a Dekleva quasi 20 anni
Uno sconto di dieci mesi di reclusione. Ieri la Corte d’assise d’appello di Venezia, presieduta dalla giudice Luisa Napolitano, ha in parte riformato la sentenza di primo grado nei confronti di Renzo Dekleva, che era accusato di aver ucciso la moglie Lucia Manca. In primo grado era stato condannato a 20 e 6 mesi per omicidio volontario aggravato, la falsa denuncia di scomparsa e per soppressione del cadavere. Ieri la pena è diventata di 19 anni e 8 mesi di reclusione: la diminuzione si deve al fatto che il secondo reato contestato è quello meno grave di occultamento e non più di soppressione di cadavere.
La Corte ha confermato tutte le decisioni prese dal giudice dell’udienza preliminare Marta Paccagnella per quanto riguarda il risarcimento alla parte civile: alla madre, ai fratelli e ai nipoti della vittima è stata riconosciuta una provvisionale di 386 mila euro mentre il complessivo risarcimento verrà stabilito dal Tribunale civile. Il rappresentante della Procura generale aveva chiesto la conferma della condanna di primo grado, così come gli avvocati di parte civile Antonio Bondi e Gabriela Giunzioni, mentre il difensore, l’avvocato Pietro Someda si era battuto per l’assoluzione.
Dekleva, per la seconda volta nel corso di questo processo, è intervenuto e ha parlato a lungo, ripetendo sostanzialmente alla Corte ciò che aveva detto venerdì scorso. Prima che i giudici si ritirassero il presidente ha chiesto se l’imputato aveva dichiarazioni da rilasciare e lui non si è trattenuto ed ha parlato per più di mezz’ora: ha sostenuto che la mattina del 7 luglio 2011 Lucia Manca era uscita di casa presto come faceva sempre per salire sull’autobus e recarsi al lavoro. Secondo gli investigatori dei carabinieri, invece, la sera precedente, dopo la cena, lui l’avrebbe soffocata presumibilmente con un cuscino dopo l’ennesima lite, avrebbe atteso qualche ora, l’avrebbe caricata nel bagagliaio della sua auto e l’avrebbe trasportata fino a Cogollo del Cengio, in provincia di Vicenza, dove l’avrebbe sepolta sotto una montagna di rami e foglie ai piedi del ponte autostradale.
A incastrarlo anche un biglietto dell’autostrada con le sue impronte, che dimostra la sua uscita al casello di Piovene Rocchette. E allora ieri ha confermato che proprio quella sera c’era andato ma solo per cercare la macchina fotografica con alcune fotografie (la coppia aveva una casa in montagna). Come venerdì ha attaccato le indagini, sostenendo che sono state avviate sin dall’inizio a senso unico, contro di lui, escludendo le altre piste. «Ogni testimonianza dell’accusa può essere smentita e non hanno fatto vere indagini bancarie», ha concluso.
Dekleva è stato arrestato a poco più di sei mesi dal giorno della scomparsa della moglie: tempo che i carabinieri del Nucleo investigativo dell’Arma, coordinati dal pubblico ministero Francesca Crupi, hanno occupato per cercare indizi e prove, che alla fine hanno dato il risultato da loro sperato. A cominciare dalla tracce di saliva di Lucia trovate nel bagagliaio dell’auto dell’imputato; dagli abiti indossati dal cadavere scoperto tre mesi dopo, tutti vestiti da casa; alle impronte di Dekleva rilevate su un biglietto d’ingresso, con stampata ora e giorno del passaggio, dell’autostrada della Valdastico e al controllo delle celle telefoniche, che hanno confermato la presenza di Dekleva in autostrada la sera del 6 luglio 2011.
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