«Dekleva, indizi univoci e concordanti»
In trentadue pagine il giudice di Venezia Marta Paccagnella spiega perché gli indizi raccolti dagli investigatori dei carabinieri coordinati dal pubblico ministero Francesca Crupi sono stati sufficienti a dichiarare Renzo Dekleva responsabile dell’omicidio volontario della moglie Lucia Manca e perché non è stato condannato all’ergastolo, come chiedeva la pubblica accusa, bensì a «soli» venti anni e sei mesi di reclusione. «Indizi univoci e concordanti», si legge nelle motivazioni della sentenza depositate ieri in cancelleria, «di carattere sia oggettivo che logico consentono di affermare provata al di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità dell’imputato». E ancora: «In ordine alle cause del decesso può escludersi che esse siano state di carattere naturale o provocate da un incidente o dovute ad azione suicidiaria, tanto più che la zona di Cogollo del Cengio (dove è stato ritrovato il cadavere della donna) sarebbe stata pressochè irraggiungibile con mezzi propri per la Manca, che non guidava, vestendo un abito da casa, senza indossare il reggiseno, senza calzature ai piedi, senza alcun bagaglio, senza portare l’anello che metteva sempre prima di uscire...Ogni ipotesi alternativa meno grave rispetto all’omicidio volontario confligge con la considerazione logica che solo il responsabile di un delitto tanto grave avrebbe potuto realizzare tutte le successive condotte tese ad impedire l’accertamento della morte di Lucia Manca, in primo luogo cercando di sopprimere il cadavere».
Questa la ricostruzione che fa il giudice veneziano: «Lucia Manca “scompare” tra la sera del 6 luglio e la mattina del giorno seguente. Solo nelle parole di Dekleva, però, Lucia era ancora viva durante la notte, quando l’avrebbe sentita uscire di casa per recarsi al lavoro. Gli ultimi segni di vira certi raccolti da qualunque altra persona si collocano, invece, al più tardi, alle 19,40 del 6 luglio. Non risultano registrate nel corso di quella serata telefonate attribuibili alla Manca, nè alcuno ha riferito di aver parlato con lei. Da quella sera nessun testimone l’aveva più vista, le aveva parlato, ne aveva notato o percepito l’esistenza in vita ed una possibile presenza in casa o fuori di Marcon. Tutto questo appare indicativo del fatto che Lucia Manca morì in casa e il decesso in casa non poteva che essersi verificato nel corso della serata e per mano del marito». «Il principale e decisivo elemento indiziario a carico dell’imputato è in ogni caso rappresentato dalla prova della sua presenza nella zona del ritrovamento del corpo la notte tra il 6 e il 7 luglio...Ritiene questo giudice che tale viaggio, effettuato nel cuore della notte ed in assenza di motivo concreto e di oggettiva urgenza non possa trovare alcuna logica e plausibile spiegazione se non quella di occultare il cadavere nel luogo dove venne effettivamente ritrovato». Infine, grazie ad una telefonata intercettata a Dekleva, quest’ultimo ad un amico confida, ancor prima che i carabinieri del Ris rendano noti i risultati degli esami dei resti biologici recuperati nel bagagliaio della sua Lancia (c’erano saliva e urina della Manca), di attendersi il rinvenimento di tracce biologiche della moglie e si giustifica in anticipo sostenendo che si sarebbe trattato di una perdita da un sacchetto della spazzatura.
«Quanto alle circostanze aggravanti contestate e alla richiesta da parte del pm dell’ergastolo, presuppongono che sia possibile identificare e qualificare come abietto e futile il motivo del delitto, ovvero che sia soddisfatta l’esigenza di accertamento delle cause e dinamiche di un gesto che sicuramente è esecrabile, ma del quale non si conoscono tuttavia sufficienti dettagli. Si sarebbe dovuto individuare e accertare, al di là di ogni ragionevole dubbio, un preciso movente...Ritiene questo giudice che detta prova non sia stata raggiunta».
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