Dalla rapina al furgone della Civis al furto del secolo a Palazzo Grassi
VENEZIA. Ignari di essere intercettati e sicuri di essere riusciti a mettere a segno il colpaccio facendo sparire 800 mila euro dal furgone portavalori della Civis pochi mesi prima, i membri della banda al telefono pianificavano un’altra grande impresa: una rapina a Palazzo Grassi.
È quanto emerge dall’ordinanza del giudice per le indagini preliminari che nel gennaio scorso ha mandato in carcere Gianluca Schisano, 37 anni, la guardia giurata accusata di aver tradito la società per cui lavorava facendo da aggancio e cardine ai banditi partenopei, inventando la farsa della rapina al portavalori sul quale stava lavorando il 15 luglio 2015 a Preganziol.
Secondo quanto ricostruito dall’indagine, che ha portato alla denuncia di altre due persone e alla realizzazione di 14 perquisizioni tra il Trevigiano e la Campania alla caccia del denaro rubato alla Civis, Schisano e i suoi sodali, lo scorso novembre, sarebbero stati ascoltati mentre parlavano di un colpo nel notissimo palazzo di Venezia. Possibile che ad aver dato loro l’idea fosse stata la notizia - in quei giorni - del clamoroso colpo al museo civico veronese di Castelvecchio?
Uno della banda in passato aveva lavorato all’interno di Palazzo Grassi e l’ipotesi era che potesse agevolare l’irruzione all’interno del palazzo stesso. Un’ipotesi concreta? O si è trattato di un dialogo tra spacconi, sicuri di farla franca, anche puntando al “colpo grosso”, ed aver gabbato gli investigatori che invece stavano loro alle costole?
Il procuratore di Treviso Michele Dalla Costa non si è sbottonato, limitandosi a confermare la presenza di elementi di indagine che allargavano lo spettro degli accertamenti anche alla nota sala espositiva veneziana.
Cosa contavano di fare? E quando? Domande senza risposta perché le manette sono scattate prima che Schisano e i suoi sodali mettessero “nero su bianco” un piano d’azione concreto.
All’epoca dei fatti e delle intercettazioni nella sala era in corso una personale dell’artista francese Martial Raysse, ma non è detto che i tre pensassero di portare via i quadri.
Possibile che immaginassero di puntare alla cassa ed eventualmente ad altre opere in esposizione prossima, o che magari stessero ancora studiando il da farsi in vista del piano perfetto, così come doveva essere quello per la rapina al portavalori a Preganziol.
Schisano, a proposito del colpo di Preganziol, raccontò alla polizia di essersi accostato un po’ all’ombra con il furgone portavalori, una volta sceso il collega per ritirare i soldi dell’IperLando. E lì di essere stato avvicinato da un uomo che gli aveva posto sul cruscotto candelotti di dinamite imponendogli di aprire e farlo salire. La rapina da 800 mila euro sarebbe avvenuta quindi poco più in là, ad opera di altri banditi a cui Schisano non aveva potuto opporsi perché sotto minaccia.
Tutto in 15 minuti, tutto senza testimoni, tutto senza nessun intoppo. Troppo per gli investigatori che hanno iniziato a dubitare del vigilante, svelando la clamorosa farsa.
E i soldi? Spariti in mille rivoli legati alla malavita partenopea. Esattamente come avrebbero potuto fare malloppo e opere d’arte prese in un eventuale colpo a Palazzo Grassi.
Di certo, visti i sistemi di sicurezza e la posizione della sala espositiva, un furto nel palazzo del magnate Francois Pinault sarebbe passato alla storia, se non altro per la possibile rocambolesca fuga dei banditi. Ma è difficile immaginare i banditi con decine di migliaia di euro e magari qualche opera d’arte in fuga lungo i canali... A meno che i banditi non pensassero di portare via il bottino approfittando, di un trasporto “di sicurezza”.
Federico de Wolanski
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