Dalla Nigeria alla strada «Il mio viaggio d’inferno»

Il racconto della 23enne arrivata a Marghera con la promessa di un buon lavoro Segregata in casa e legata alla sedia per una settimana: si rifiutava di vendersi
Di Rubina Bon

A Warri, in Nigeria, lavorava come commessa e guadagnava 10mila naira al mese, il corrispettivo di 20 euro. Per questo l’idea di trasferirsi in Italia con la prospettiva di guadagnare non poteva che essere allettante. La 23enne non sapeva che, accettando la proposta fatta dalla donna che gli investigatori hanno identificato in Jenny Sandra Aigbeuyimedo, detta Jennifer, 34 anni - arrestata venerdì all’alba dalla Polizia assieme a Ese Eghosa detta Mama Twin, 32 anni, con le pesantissime accuse di tratta di persone, riduzione in schiavitù e favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione - sarebbe finita dritta nel giro delle squillo a Marghera. Guadagnava tra i 20 e i 30 euro a prestazione, ma tutti i soldi finivano - secondo l’accusa - nelle tasche di Mama Twin per pagare i 30mila euro del viaggio dalla Nigeria, oltre che 250 euro al mese di alloggio, 50 a settimana di vitto e 150 al mese per il posto in strada.

La denuncia della 23enne è stata fondamentale per arrivare all’identificazione dei presunti responsabili - oltre alle due donne anche il compagno di Mama Twin, Matteo Mazarese, 63 anni - della tratta di ragazze.

Dalla Nigeria al marciapiede di via Fratelli Bandiera, la 23enne nigeriana ha raccontato la sua odissea nella denuncia presentata alla Polizia. «Non ho parlato con la mia famiglia (della proposta di andare in Italia) perché avevo paura che mi ostacolassero», ha riferito lo scorso ottobre la ragazza, la cui testimonianza è riportata nell’ordinanza di applicazione di misure cautelari. È il 13 febbraio 2016 quando la ragazza, accettata la proposta di Jennifer, raggiunge la città di Agbo, dove assieme a 80 persone viene portata in una chiesa. C’è un pastore che fa giurare a tutti che avrebbero saldato il debito del costo del viaggio. Da Agbo il gruppo si sposta a Josse e poi ad Agadez, in Niger, quindi con i pick-up attraverso il deserto fino alla cittadina libica di Sabhah e quindi a Brack dove la 23enne viene fatta alloggiare in una connection house, una sorta di centro di accoglienza. Il responsabile le sequestra il cellulare, dandole il suo per chiamare Jennifer. Da Brack l’odissea prosegue fino a Tripoli e, dopo un mese in casa di un nigeriano, a fine marzo la partenza dalle coste della Libia verso l’Italia, arrivando forse a Lampedusa.

Qui avviene il primo contatto telefonico con Mama Twin attraverso un’altra nigeriana: «Mi ha detto di non andare in Questura per le foto e le impronte digitali». Poi l’incontro di persona in stazione a Treviso e il trasferimento a Mestre, a casa proprio di Mama Twin. «È arrivata una nigeriana, amica di Mama Twin, la quale mi ha sistemato i capelli. Finito di sistemare i capelli, dato che era buio, sono andata in camera per andare a letto. Mama Twin è entrata e mi ha detto... vestiti che andiamo a lavorare. Le ho fatto presente che era tardi (...) ma lei mi ha detto che dovevo solo fare quello che lei mi ordinava». La ragazza capisce di che lavoro si tratta e si rifiuta. Ne nasce una bufera. «Ho detto che ero disposta a pagare i 30mila euro del viaggio, ma non facendo la prostituta. Jennifer mi disse: “Se non paghi avrai dei problemi, stai molto attenta a quello che fai”». Dinnanzi al rifiuto, per la 23enne si aprono le porte dell’inferno: una settimana chiusa in una stanza, legata a una sedia, picchiata e controllata a vista. La ragazza cede e va in strada per tre mesi, guadagnando 100 euro a sera. Poi incontra gli operatori dei Servizi sociali del Comune, capisce che una nuova vita è possibile. Denuncia e fa partire le indagini. Il resto è la cronaca di queste ore.

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