Da disoccupato ad autore di best seller: «Devo tutto a Venezia»
VENEZIA. Ogni angolo, calle o campiello di Venezia ha il potere di evocare storie. Sarà per l’alone di mistero che avvolge i nomi delle sue vie, o per il fascino immortale dei canali refrattari alla modernità. È ciò che la rende unica, inimitabile. Una città suggestiva, capace di scatenare la vena letteraria, tanto più se imprigionata nel grigiore della Gran Bretagna. E infatti: «Sono del Galles, ho lavorato per anni in Scozia e poi mi sono ritrovato a vivere a Venezia. In rio terrà dei Assassini, capisci? Come fai a vivere in un posto così e a non scrivere una storia?».
Lui è Philip Gwynne Jones, nato a Swansea nel 1966. Nel ’90 si stabilisce, insieme alla moglie, ad Edimburgo. Trova un lavoro da impiegato informatico, stabile e sicuro, alla Bank of Scotland. Tutto fila liscio finché, nel 2008, arriva la crisi economica. Per restare a galla, la banca taglia il personale. Ci sono molti licenziamenti e Philip, nel 2011, si trova senza più un lavoro. In mano ha solo una buonuscita, quanto basta per provare a rifarsi una vita insieme alla moglie. Magari cambiando aria. Dove? A Venezia: «Una scelta dettata da un solo motivo: io e mia moglie la riteniamo la città più bella del mondo».
I due ricominciano da zero, imparano la lingua e si propongono come insegnanti e lettori di inglese alla Oxford School. Nel frattempo, è il 2015, comincia a scrivere. I primi capitoli “autoprodotti” prendono il titolo di “The Venice Project”: «Ho raccontato gli eventi che ci hanno portato a Venezia, per divertimento».
Il libro circola su internet e viene notato. John Beaton, agente letterario scozzese innamorato di Venezia, contatta Philip. Nasce l’idea di scrivere un romanzo, un giallo ambientato in laguna. I protagonisti sono il frutto degli incontri veneziani, il punto di vista è quello di uno straniero, la storia è un thriller investigativo, pieno di quel mistero che avvolge una città d’acqua. Bastano quattro mesi di lavoro, ed ecco “The Venetian Game”, edito dalla casa editrice inglese“Little Brown. All’estero è un successo: il Times classifica il libro al secondo posto, più in alto di un mostro sacro come Grisham. L’eco arriva in Italia, e la Newton Compton decide di tradurlo con il titolo “Il ponte dei delitti”. Le copie vendono e da pochi giorni nelle librerie inglesi è uscito il secondo capitolo della saga. Il titolo? “Vengeance in Venice”, che letteralmente è “Vendetta a Venezia”.
«I miei libri sono un ringraziamento alla città che ha cambiato la mia vita e quella di mia moglie», racconta Philip Jones. «Ero stufo di fare un lavoro senza nessuna creatività«, continua, «semplicemente non mi divertivo più». Oggi, oltre a scrivere, Philip è lettore di inglese al liceo Benedetti e tiene lezioni di lingua in giro per la città. «Adoro insegnare» spiega «è un lavoro fantasioso, pieno di contatto umano, che può fare la differenza». Nel suo passato, la scrittura non ha mai occupato i suoi pensieri. Qualche recensione, qua e là, su giornali specializzati in “progressive rock”. Ma poi, messo piede a Venezia, la molla scatta. «La nostra prima casa era vicino a campo Santo Stefano, tra campiello dei Morti e rio terà dei Assassini. Calli strette e scure, con questo perenne senso di minaccia e di avventura. Quando si vede un luogo chiamato così, hai l’obbligo di scrivere qualcosa». Ormai Philip è un veneziano acquisito, che vive la città e le sue difficoltà. Addosso, però, ha una leggerezza diversa: «Venezia non ha eguali. Non per questo è semplice viverci. Una cosa è sicura: dà molta più soddisfazione».
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