Cucina e wc in due metri «Così vive un detenuto»
Così si sta in cella, la foto di Giuseppe con Gesù, il bagno e il tavolo della cucina, senza soluzione di continuità, perché spazio non ce n’è quando gli ospiti sono quattro, figurarsi sei o otto, con due posti letto ricavati con i materassi stesi per terra e due alzando di un piano i letti a castello. «Che impressione» dicono le persone che entrano ed escono dalla cella, sette metri quadrati, allestita per tutta la giornata di ieri in piazzetta Coin grazie all’iniziativa della Camera penale di Venezia «promossa per far riflettere le persone sullo stato in cui vivono i carcerati in Italia, perché le persone che non hanno a che fare con queste vicende e non frequentano le carceri non lo sanno veramente» spiega Annamaria Marin del consiglio direttivo della Camera penale e referente dell’Osservatorio nazionale sulle carceri. «Se vuoi conoscere un Paese visitane le carceri» diceva Voltaire e questa iniziativa fa un passo avanti, portando la riproduzione di una cella a disposizione dei visitatori, quattro metri per tre, realizzata dai detenuti del carcere di Verona, una cella che sta facendo il giro delle piazze d’Italia, e che è già stata a Padova, Trieste e Verona. «Molte persone sono sorprese dagli spazi della cella» prosegue Marin «senza contare che il senso di soffocamento che provano è con la porta aperta, privilegio di cui i detenuti non possono certo godere. È un’iniziativa voluta per avviare una riflessione sul ruolo delle carceri, che dovrebbero perseguire l’obiettivo di rieducare le persone». Ma il principio secondo il quale ai carcerati dovrebbero essere assicurate condizioni di vita dignitose spesso è disatteso: dal 2000 a oggi sono 700 le persone che hanno deciso di togliersi la vita in carcere. Il sovraffollamento è uno dei problemi principali: ogni cento posti disponibili sono sistemati 142 detenuti. Nel carcere veneziano di Santa Maria Maggiore alla data del 5 ottobre scorso erano presenti 298 detenuti a fronte di 161 posti disponibili: quasi il doppio. Ma possono servire indulto e amnistia, i provvedimenti di cui discute il governo dopo la riflessione promossa dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, dopo le sollecitazioni arrivate anche dall’Europa? «Permetterebbe di dare una risposta ad una situazione ormai al collasso» sostiene la Marin «anche se la soluzione passa attraverso una revisione dell’ordinamento che spinga di più sulle misure alternative al carcere». Che sia la strada giusta da imboccare, spiegano gli avvocati, lo dicono i dati relativi alla recidiva a 7 anni dalla fine della pena: è del 19% tra gli ammessi a misure alternative, del 68% tra chi ha scontato tutta la pena in carcere. A cercare di fornire un’alternativa ai sei metri per tre delle celle ci pensano realtà come la cooperativa Rio Terà dei Pensieri, composta da 30 soci, di cui 23 detenuti, che gestisce due laboratori artigianali a Santa Maria Maggiore per serigrafare t-shirt e per recuperare manifesti pubblicitari dismessi in borse e borsette, mentre al carcere femminile della giudecca le detenute realizzano prodotti cosmetici. «Il recupero deve essere una scelta personale» dice la presidente Liri Longo «noi offriamo loro la possibilità di mettersi in gioco in un ambiente di lavoro come gli altri, ma in prima fase protetto, che può aiutarli, una volta usciti, a ricostruire la loro dimensione abitativa».
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