Critica Brugnaro su Fb, giudice “assolve” vigilessa

La dipendente aveva scritto un post sullo spaccio indirizzato al «Caro Brugnetta» Il caso in tribunale: il Comune non si costituisce, cancellata la sanzione disciplinare
Il Tribunale civile di Rialto
Il Tribunale civile di Rialto

MESTRE. Tutta colpa di un post lasciato da una vigilessa in forze alla polizia municipale di Venezia su un gruppo Facebook in cui si discute dei problemi di Marghera. Poche righe indirizzate al «Caro Brugnetta» per cui la vigilessa è finita nei guai. Il Comune, al termine del procedimento disciplinare, le ha applicato il rimprovero scritto. Ci ha pensato la giudice del lavoro Chiara Coppetta Calzavara, a cui la dipendente si era rivolta per chiedere l’annullamento della sanzione o in subordine l’applicazione del rimprovero verbale, a cancellare la sanzione, dichiarandola illegittima nella sentenza pubblicata nei giorni scorsi. Ca’ Farsetti non si era costituita nel procedimento e di conseguenza non aveva depositato la documentazione a sostegno della correttezza della propria decisione.

«È così, caro Brugnetta, togli gli spacciatori da via Piave per confinarli a Marghera? Non si può più attraversare per il sottopasso, tanti ne hai fatti spostare lì. Marghera spazzatura di Mestre. Varemengo chi te ha votà. Altro che, Reyer de m...». Così aveva scritto la vigilessa il 27 giugno 2017 sul social utilizzando il proprio profilo personale «nel quale è identificata dagli altri utenti come una dipendente del Comune, appartenente al Corpo della polizia locale», evidenzia Ca’ Farsetti che aveva ricevuto la segnalazione in forma anonima. Poche settimane dopo era partito il procedimento disciplinare che, citando il codice disciplinare del Contratto collettivo nazionale di lavoro del personale del comparto delle autonomie locali, si era concluso a ottobre con il rimprovero scritto. Si legge nella sentenza che «I fatti contestati non sono negati dalla ricorrente, la quale a propria difesa rappresenta che il post oggetto di causa si inseriva in una più ampia conversazione all’interno di un gruppo chiuso di residenti di Marghera; che non vi era alcuna intenzione di offendere il sindaco e che l’utilizzo del nome Brugnetta anziché Brugnaro era dipesa da una correzione automatica dell’applicazione T9; che i fatti da cui nasceva la conversazione erano reali e comprovati dalle notizie dei giornali; che poco dopo aver scritto il post aveva cercato di rimuoverlo ma era già stato rimosso», evidenziando come il Comune avesse poi dimostrato «una particolarità volontà di punirla».

La giudice, nelle motivazioni della decisione, “spacchetta” il post per analizzarlo. Condivide il fatto che «Brugnetta» sia solo un errore del T9. Quanto a scrivere «Varemengo chi te ha votà», è una critica agli elettori e solo indirettamente al sindaco. Le parole sulla Reyer, di cui Brugnaro è patron, sono «chiaramente rivolte non al sindaco, ma alla squadra di basket». Osserva la giudice che «Il Comune non si è costituito e quindi non è provato quale rapporto vi sia tra il sindaco e la predetta squadra, né il fatto assurge a fatto notorio». Pacifico, secondo la giudice, che la vigilessa, con il suo post, abbia violato il regolamento della polizia municipale di Venezia che richiede tra l’altro ai dipendenti di astenersi da dichiarazioni pubbliche che consistano in rilievi sull’operato degli amministratori, oltre che il codice di regolamento interno secondo cui il dipendente si impegna a mantenere un comportamento corretto sui social.

Dov’è l’inghippo? Lo chiarisce la giudice affermando che «Grava sul datore di lavoro provare non solo i fatti contestati, ma anche la corrispondenza di questi con le fattispecie di illecito disciplinare previste dalla contrattazione collettiva». E quindi non costituendosi, il Comune non ha prodotto l’articolo del codice disciplinare del Contratto collettivo nazionale citato a sostegno della sanzione. La giudice conclude evidenziando che «In assenza del contratto nazionale, non può valutare se i fatti contestati dovessero essere effettivamente sanzionati con il rimprovero scritto anziché con il rimprovero verbale». Risultato: sanzione annullata e Comune condannato a pagare 1.750 euro di spese legali.

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