«Così sono riuscita a non fallire»

Concordia. L’imprenditrice Antoniazzi ha raccontato la sua esperienza in un libro
CONCORDIA - DINO TOMMASELLA - VATRELLA - ANTONIAZZI SERENELLA CON IL LIBRO DA LEI SCRITTO ALL'INTERNO DELLA SUA AZIENDA
CONCORDIA - DINO TOMMASELLA - VATRELLA - ANTONIAZZI SERENELLA CON IL LIBRO DA LEI SCRITTO ALL'INTERNO DELLA SUA AZIENDA

CONCORDIA. “Io non voglio fallire”: una volontà, un obiettivo e ora anche il titolo del libro di Serenella Antoniazzi, l’imprenditrice concordiese che ha deciso di mettere nero su bianco la sua storia fatta di sconfitte, rivincite e tanto coraggio per tenere aperte le porte della sua attività artigianale.

Una storia come tante che in questi anni di crisi e di salassi fiscali si ripete per molti imprenditori, soprattutto nel Veneto, e spesso i finali sono tragici. Serenella Antoniazzi, titolare della ditta Aga di Concordia che si occupa di levigatura del legno, nel 2012 ha dovuto affrontare un duro colpo dopo che un grosso committente è fallito lasciandole un insoluto molto consistente.

L’effetto domino che questo ebbe sull’attività e la vita di Serenella, fu devastante, coinvolse l’immobile, costruito da suo padre trent’anni prima, e soprattutto i suoi dipendenti tanto che l’imprenditrice, sentendosi impotente, pensò ad un estremo gesto.

Prima di farlo, però, chiese aiuto al giornale ed è proprio nella sezione “lettere” de La Nuova Venezia del 16 dicembre 2012, che Serenella dette sfogo al suo problema: una morsa chiamata recessione stava facendo morire la sua attività mentre lo Stato restava a guardare.

Infatti, la ditta che la mise sul lastrico per fallimento, dopo qualche mese riaprì i battenti sotto altro nome ma senza alcuna intenzione di risarcirle il debito, e la legge glielo permetteva. Proprio grazie a quella pubblicazione, Serenella incontrò una delle persone che le salvò la vita: un altro imprenditore anch’egli soggiogato dai debiti, pronto a sostenerla, ciò che le servì per risollevarsi e cercare di ripartire, non solo con il lavoro ma anche con una nuova missione, cioè quella di farsi giustizia per quanto subito.

Assieme ad altre aziende, “gabbate” dal famoso committente, realizzò una “class action” (il processo sarà a giugno) e riprese a lavorare, pagando i debiti poco a poco. «Non siamo dei depressi», ha detto proprio ieri l’autrice di fronte all’ennesimo suicidio da parte di un imprenditore di Lugugnana, «siamo disperati, soli e masticati ma soprattutto non siamo degli evasori fiscali ma persone in difficoltà che dopo anni di pagamenti in regola chiedono per una volta di essere aiutati informando gli enti competenti della situazione. Io per riuscire a pagare i miei dipendenti ho dovuto chiedere la rateizzazione dell’Iva. La mia vera fonte di ispirazione è stato l’articolo 53 della Costituzione: “lo Stato non può rubare il pane ai contribuenti”».

«Io una contribuente puntale e fiera lo sono sempre stata», continua Serenella Antoniazzi, «ma quando per una volta mi sono trovata in difficoltà mi è stato inflitto un trattamento di paura e ricatto».

«Non ho mai chiesto la carità ma solo tempo per pagare i miei debiti», continua Serenella, «non sono una vittima ma sono stanca di essere spremuta come un limone. Con il mio libro (pubblicato da Nuovadimensione editore di Portogruaro) spero di riuscire ad aiutare almeno uno dei tanti disperati che stanno vivendo quello che ho vissuto io».

Intanto a giugno ci sarà la prima udienza del processo che vede per la prima volta insieme imprenditori onesti contro chi non lo è stato affatto, nè contro di loro che contro i lavoratori.

Una “class action” che potrebbe avere un esito importante non solo a livello locale, dimostrando che l’onesta e l’unione delle forze può vincere contro chi pensa di voler sempre e solo fare il furbo. E il libro di Serenella Antoniazzi può essere una valida base di discussione non solo tra gli imprenditori.

Gemma Canzoneri

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