«Così abbiamo salvato la piccola Giorgia»
MESTRE. Ci sono mani e cuore veneziani nella squadra di angeli che ha salvato Giorgia, la bambina bionda di 6 anni che giornali e tv hanno mostrato al mondo come segno di speranza nell’inferno di Pescara del Tronto, sbriciolata dal terremoto. Sono le mani e il cuore di Nicola Bortoli, medico rianimatore all’ospedale dell’Angelo di Mestre, quelle dell’infermiere Daniele Pomiato, del nucleo Usar (Urban search and rescue), dei pompieri e degli specialisti veneti inviati tra i primi sui luoghi dell’epicentro per operare tra le macerie in cerca degli ultimi superstiti.
Il miracolo. Giorgia è il miracolo che, oltre a regalare speranza a un intero paese, ha dato forza e coraggio ai soccorritori per continuare nel loro difficile lavoro, in lotta contro il tempo e la polvere. «Vigili del fuoco e volontari stavano lavorando lì fin dal mattino», racconta Nicola approfittando di una pausa «noi siamo arrivati nel pomeriggio, poco prima che Giorgia venisse riportata in superficie. Non è stato facile, le macerie in quel punto erano soprattutto sabbia e ghiaino». Il lavoro dell’Usar veneto si è subito indirizzato verso un cumulo di macerie che fino a poche ore prima erano l’abitazione di una famiglia con padre, madre e due bambine piccole.
In vita. «Sapevamo che lì sotto c’era qualcuno ancora in vita», continua Nicola prima di riprendere le ricerche, «i genitori erano già stati estratti vivi alcune ore prima, i cani però avevano fiutato ancora segnali di vita e mancavano all’appello due bambine. Scavando con le mani a un certo punto abbiamo visto affiorare due piedini. Erano ancora caldi e tentavano di muoversi. È stata una botta di adrenalina: ci siamo avvicinati per operare su di lei ancora prima di estrarla: ho subito preparato una flebo e gliel’abbiamo applicata dai piedi per idratarla nell’attesa che venisse liberata dai detriti. Poi abbiamo preparato tutto il resto per stabilizzarla una volta tirata fuori».
Acqua. Giorgia è stata estratta sveglia e ha subito chiesto dell’acqua: «È sempre rimasta cosciente, anche se là sotto era impossibilitata a muoversi», racconta Nicola, «appena le abbiamo liberato la faccia, è come se si fosse destata di colpo. Tirata fuori da là è rimasta calma, non ha pianto e sembrava quasi arrabbiata che nessuno finora le avesse portato da bere. Muoveva braccia e gambe, ci ha detto come si chiamava, poi l’abbiamo affidata all’ambulanza per il trasferimento in ospedale».
Salvata dalla sorella. Giorgia ora sta bene. Purtroppo però la gioia per il ritrovamento è durata poco: subito dopo, alcuni passi sopra di lei, nella stessa montagna di rovine, è stata trovata la sorella maggiore, 10 anni, ormai priva di vita. È probabile che abbia fatto scudo a Giorgia con il suo corpo.
Carica. «Non ci si abitua mai», racconta Nicola, «finché lavori non ci pensi troppo, poi quando capisci che là sotto hai una persona viva e che sta bene, ti arriva una carica indescrivibile, non senti più nemmeno la stanchezza e ogni sforzo viene ripagato».
Speranze. Il lavoro di Nicola e Daniele volge ormai al termine: le speranze di trovare ancora sopravvissuti sono ormai ridotte al lumicino e forse già nel fine settimana l’Usar lascerà campo libero alle colonne mobili. Purtroppo il compito di Nicola, Daniele e degli altri medici e operatori sanitari sul campo, in queste ultime ore di lavoro, sarà prevalentemente indirizzato alla constatazione del decesso dei corpi ritrovati ormai senza vita. Ma con gli occhi di Giorgia, pieni di polvere e speranza, a dar forza e coraggio anche a chi con la morte ci lavora ogni giorno gomito a gomito.
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