Cosa può fare la politica per fermare il malaffare e la sete di denaro
della Repubblica di Venezia, Guardia di Finanza Operazione
VENEZIA. Tre episodi di tangenti nel giro di sei mesi, anche se quello di ieri è una diretta diramazione del penultimo, sono davvero tanti. Anzi, sono troppi. Lo sarebbero dappertutto, perfino per i territori avvelenati dalla criminalità organizzata e da quella con i colletti bianchi; ma lo sono ancor di più a Venezia, città simbolo della legalità e città estremamente visibile in tutto il mondo per il suo immenso patrimonio d’arte e per la sua grande storia che ne fanno l’emblema della bellezza italiana. Ora su questa città e su questi tesori si allunga l’ombra luciferina della corruzione e del malcostume, che sono ahimè la cifra della malattia che affligge il Paese, sino a renderlo incerto, forse invivibile e di sicuro fonte di insofferenza per quanti - tantissimi - lavorano con onestà e per chi - la stragrande maggioranza - non sopporta abusi e privilegi, furberie e prepotenze.
La corruzione che è riuscita ad infiltrarsi nei palazzi del del potere di Venezia, ma senza neppure sfiorare il potere comunemente inteso, non è soltanto un caso (ripetuto) di malaffare e sete di denaro; è molto di più, è un fenomeno talmente inquietante da far dire al procuratore aggiunto Carlo Mastelloni che si tratta di un grave danno per il patrimonio culturale della città. Analisi da sottoscrivere, anche se ora questo bubbone è stato localizzato ed estirpato. Sperando tuttavia che sia davvero finita qui, e naturalmente nell'attesa che la giustizia faccia il proprio corso, gli arresti che dall'inverno scorso a ieri hanno scosso prima la Provincia e poi il Comune diventano anche materia di grande interesse per la politica, che, pur essendo del tutto estranea ai fatti in questione, non è per niente esclusa da responsabilità, diciamo così, generali. Anzi, proprio adesso che investigatori e magistrati hanno forse concluso il loro lavoro, la politica dovrebbe gonfiare il petto, avere uno scatto d'orgoglio e riprendersi così il ruolo naturale che la democrazia le affida, ovvero quello di guida della società. E stare al timone della società non vuol dire soltanto prendere provvedimenti più o meno giusti o più o meno severi dal semplice carattere amministrativo.
Questo c'è nelle carte, nei codici, nei regolamenti o nei contratti e va banalmente applicato. Ma, senza fare di tutta un'erba un fascio, non bastano giri di valzer e spostamenti di quà o di là. Le vicende di questi mesi dimostrano invece che c'è bisogno di un intervento educativo, nel senso quasi didattico del termine poichè spetta anche alla politica costruire o ri-costruire la società cui si rivolge. E se questa società o una parte di questa società, crede, sbagliando, che abusi e furberie sono possibili, è necessario lavorare per cambiare questa mentalità, questa cultura, che è quella cui si riferisce Mastelloni. In tutto il Paese da tanto tempo - forse dalla stagione delle stragi mafiose in Sicilia, che toccò l'apice con gli omicidi di Falcone e Borsellino - manca un balzo di questo spessore. È stata più volte la società, come avvenuto di recente, a lanciare segnali fortissimi; ma la politica, e il riferimento non è ai partiti, è rimasta insensibile, ha rinunciato a fare progetti. In fondo, anche questo è trasparenza e Venezia potrebbe essere anche in questo campo un modello per l'Italia. Sempre che abbia voglia di farlo.
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