Processo ai corvi del Patriarcato di Venezia, il pm: «Condannateli»
Il caso dei volantini diffamatori contro la Curia veneziana. Chiesti due anni
per De Giorgi e otto mesi per Buoninconti: entrambi devono rispondere di diffamazione
«Ci sono tonnellate di elementi di prova a suo carico» in merito all’affissione in città dei cinque manifesti che nell’arco del 2019 travolsero la curia veneziana - e singoli preti, a partire dal patriarca Moraglia - con accuse di lobby gay e affaristiche. «Tutto subdolo e intimamente falso»; «notizie false che riportate - come disse qualcuno - 10, 100, 1000 volte diventano “vere”, che è poi il principio delle fake news. Notizie, in questo caso, gravemente diffamatorie».
Sono alcuni dei passaggi con i quali la pubblico ministero Daniela Moroni, dopo oltre quattro ore di requisitoria, ha chiesto ieri al giudice Stefano Manduzio di condannare per diffamazione - senza concedere alcuna attenuante - a 2 anni di reclusione e 1500 euro di multa Enrico Di Giorgi, ex dirigente Montedison accusato di essere l’autore materiale e l’uomo che ha affisso tutti i cinque volantini firmati Fra.ti.no., tra il gennaio e l’agosto 2019.
Otto mesi di reclusione e 800 euro di multa la pena richiesta, invece, per il coimputato Gianluca Buoninconti, esperto informatico, immortalato dalle telecamere del sistema di videosorveglianza della città nella notte del 6 agosto, quando insieme a Di Giorgi attraversò Venezia «in coincidenza con i luoghi dell’ultima affissione».
Sui monitor in aula scorrono le immagini di un uomo vestito di chiaro, con un cappello appendere uno dei volantini: per l’accusa è Di Giorgi, «la sua camminata è inconfondibile», sottolinea la pm.
Detto che venerdì prossimo inizieranno a parlare i legali delle parti civili (in rappresentanza del patriarca, dei preti citati nei volantini e di Alessandro Tamborini, fedele tra i più critici verso la Curia veneziana e la gestione del “caso d’Antiga”), cui seguiranno le arringhe difensive degli avvocati Trombini e Montanari (che ieri ha annunciato anche dichiarazioni spontanee da parte di Di Giorgi), dopo due anni e mezzo di processo, per il 7 febbraio dovrebbe arrivare la sentenza di primo grado ai presunti “Corvi del patriarcato”.
«I volantini vengono affissi nell’area marciana e a Venezia, dopo al riorganizzazione del 2018 che porta anche allo spostamento don Massimiliano d’Antiga da San Salvador e San Zulian, con il “terremoto” che ne seguì», ricostruisce la pm Moroni, ricordando che D’Antiga (ora ridotto allo stato laico) non è imputato, ma solo teste nel processo.
«I volantini iniziano un mese dopo», prosegue Moroni, «il collegamento è indubbio con il trasferimento che D’Antiga non ha accettato e le reazioni dei suoi fedeli, che manifestarono e incontrarono il patriarca. Che dietro a “Fra.tino” possano esserci stati anche altri soggetti è possibile, ma i processi non si fanno sugli indizi, ma sulle prove e sugli imputati di oggi, in particolare Di Giorgi, sono emersi elementi precisi.
Era vicinissimo a D’Antiga, sono amici : un elemento importantissimo perché i volantini sono collegati alla vicenda D’Antiga. Di Giorgi è anche specializzato in diritto canonico: toni che si ritrovano nei testi. Infine, importante: cosa manca? Nei manifesti si tira addosso il fango delle illazioni contro tutta la chiesa veneziana, tranne che a D’Antiga. Eppure lo stesso D’Antiga ci ha riferito in aula che per la sua gestione di San Salvador e San Zulian era stato oggetto di due precetti per le affittanze della canonica e gestione “familistica” di beni della chiesa e per la questione dei lasciti testamentari a suo favore».
La pm passa poi in rassegna tutte le accuse di «lobby omosessuali, concubinaggi, affari illeciti» mosse nei cinque volantini, smontandole una per una. E ricorda tutte le prove scientifiche a carico di Di Giorgi - «Buoninconti ha partecipato all’ultimo episodio occasionalmente, perché era a Venezia per un incontro per realizzare un sito» - trovate nel corso delle perquisizioni delle sue case a Venezia e Milano. Dalla stampante con la “O” difettosa come riportano i manifesti, alle molte copie di volantini con biadesivo ritrovate, ai file con passaggi poi riportati nei manifesti, alle sue impronte («Volevo fotografarlo e l’ho toccato», si era difeso lui).
E poi cita «il comportamento offensivo tenuto durante l’interrogatorio, anche con insulti mai sentiti in un’aula». Poi gli abiti, le scarpe e lo zaino sequestrati del tutto simili a quelli ripresi. «I volantini sono diffamatori», ha concluso, «perché iI diritto di critica non può prescindere dalla verità del fatto storico o venire rappresentata in modo stravolto». Deciderà il giudice.
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