Corpi ricoperti di tatuaggi “body art” per sempre
MESTRE. Il rumore che si sente per tutto il tempo, da quando si varca la porta a quando si esce, come un mantra recitato di sottofondo, è quello delle macchinette per tatuaggi in funzione, che lavorano senza mai fermarsi, incidendo la pelle e imprimendo il pigmento. Anche se qualcuno smette per far riposare il cliente qualche minuto, ce ne sono sempre decine in funzione. E poi un odore acre che si disperde nell'ambiente, perché dopo ore fermi in una posizione, a stringere i denti, è impossibile non sudare.
Entrare nelle tante sale messe a disposizione della Venezia International Tattoo Convention che va in scena finoa oggi all’hotel Russott di San Giuliano, è come fare un tuffo in un universo con regole tutte da scoprire. C’è chi si tatua per accentuare parti del corpo che ama, evidenziare pettorali e glutei in forma, chi per nascondere i difetti, chi ancora per nessuno dei due motivi, ma solo spinto dal piacere di vedere la propria coscia o il proprio braccio che restituisce un'immagine che per noi ha un significato particolare. Nessuno teme il “per sempre”, semmai non poter “personalizzare” qualche cosa che ci siamo ritrovati addosso e che ci ha fornito madre natura appena nati. Non interessa che faccia hai, ma solo il tatuaggio che ti porti in giro.
Alla convention camminano per i corridoi corpi che non hanno quasi più un centimetro di pelle libera, giovani dai capelli colorati, ma anche insospettabili che appena si spogliano, non sono più gli stessi. E forse è questo il segreto. C’è chi gira scalzo, chi in infradito, chi a petto nudo o in mutande. Dario si fa ammirare come fosse un divo del cinema, ieri era il suo momento. Dalla vita fino al piede, gli corrono Bud Spencer e Terence Hill. Ha iniziato a luglio per essere pronto per ottobre, 100 ore di lavoro. Tre sedute a settimana, di quelle toste. Racconta il dolore, la sopportazione, la soddisfazione. Cucita al braccio una geisha, un tempio giapponese, un samurai. I tattoo che si è fatto, gli bastano per dieci anni, dice. La sera ha sfilato in passerella, si è tolto il gancetto degli sleep, quasi uno spogliarellista, ed è rimasto solo con un pezzo di mutande nere che gli coprivano il davanti.
Non c’è praticamente nulla che non si possa tatuare, né una parte del corpo che non possa essere ricoperta di fiori, tigri, demoni. Max è pelato e si sta facendo tatuare l'intera testa con dei mandala, il fiore della vita, all'interno del quale, si dice, siano inscrivibili tutte le forme dell'universo. Gli ci vogliono cinque ore.
Il tatuaggio fino al collo alla Fedez, va alla grande. Un giovane di Belluno che ama Venezia ma non ha poi molta voglia di parlare e teme che qualcuno avvicinandosi possa rovinargli l’opera d'arte, ha sul braccio un capolavoro: un ponte dei sospiri in bianco e nero realizzato con tale minuzia e maniacale attenzione al dettaglio, che guardandolo si sente persino il tipico odore di nebbia invernale che avvolge Venezia.
Le discussioni che si percepiscono a metà, sono quasi incomprensibili per un profano: la terminologia è criptica, si parla di tempo impiegato, terminazioni nervose, modalità, ma soprattutto di gusto. Come riconoscere un tatuaggio da cinque ore e uno invece creato impiegando sei mesi di lavoro? Quasi nessuno parla di soldi. Perché l’arte non ha prezzo per gli appassionati.
C’è chi è specializzato in tattoo giapponesi, dai Maneki Neko, i gatti della fortuna, alle figure apotropaiche che proteggono dal male, fino ai fumetti. Chi realizza solo teschi, navi fantasma, volti di donna che emergono dalle tenebre e un banco meno gotico dove scegliere la maschera veneziana che più calza addosso.
Sergio, il giovane spagnolo che da venerdì si sta facendo tatuare la figlia di cinque anni sul petto, ieri era ancora sullo sgabello, sdraiato, in attesa che Samuel Sancho terminasse il suo quadro.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia