Corano veneziano, la verità è più vicina

Nuove scoperte promettono di svelare i retroscena sull’opera stampata dai Paganini, di cui rimane una sola copia

VENEZIA. Si alza il velo sul Corano veneziano, conservato da secoli nella Biblioteca di San Michele in Isola, ma il cui ritrovamento fu annunciato al mondo accademico solo venticinque anni fa da Angela Nuovo, attraverso la rivista Bibliofilia. Un libro stampato a Venezia nel 1537-38 (presso la stamperia Ad signum putei) da Paganino e Alessandro Paganini da Brescia, che, consapevoli della vastità del mondo musulmano di allora – specie arabo e turco in continuo contatto con la Repubblica di Venezia – puntavano probabilmente a una grande diffusione dell’opera del mondo, anche se non abbiamo testimonianza certa del motivo per cui gli stampatori si erano imbarcati in un’impresa così costosa e ardimentosa. Non sappiamo, in particolare, se l’opera fosse stata commissionata dagli Ottomani o se il Corano dovesse servire ai sacerdoti nella loro opera missionaria o per la confutazione del libro sacro dell’Islam, ma la traduzione latina fu trovata talmente zeppa di errori e di grossolani travisamenti, da essere – pare, anche se l’ipotesi non è ancora certa – ritirata e fatta bruciare per disposizione di Papa Paolo III. Un’ipotesi ragionevole è che gli stessi Paganini, consapevoli del loro errore, abbiano mandato al macero tutto il prodotto per recuperarne la carta. O, probabilmente, che non ci sia neanche stata un’edizione, ma abbiano sospeso l’iniziativa fin dalle prime prove. Una cosa era certa: una copia di quel Corano era stata posseduta dallo studioso Teseo degli Albonesi di Pavia.

Ed è proprio questo l’esemplare che nel 1987 viene ritrovato dalla Nuovo nella Biblioteca di San Michele in Isola ed è oggi conservato presso quella di San Francesco della Vigna. La scoperta ha una grande risonanza nel mondo accademico: da quel momento si susseguono pubblicazioni, convegni, mostre. Progressivamente la ricerca e il dibattito accademico fanno luce sul mistero che ha avvolto per secoli l’opera uscita dai torchi dei Paganini; nuove ipotesi vengono formulate sul destino toccato alla prima edizione in caratteri mobili del Corano. Saranno illustrate il prossimo 5 marzo nel seminario Un’ardita (e sfortunata) impresa dell’editoria a Venezia, che si terrà nella Sala San Pasquale, per iniziativa di Fra’ Rino Sgarbossa, direttore della Biblioteca San Francesco della Vigna e nell’occasione del quale sarà anche esposta la copia cinquecentesca del Corano. Al seminario prenderanno parte tra gli altri studiosi veneziani come Marino Zorzi, già direttore della Biblioteca Marciana e Gino Belloni, docente di Ca’ Foscari, ma particolare curiosità c’è per le relazioni di Angela Nuovo – docente dell’Università di Udine e scopritrice del Corano veneziano – e Mahmoud Salem Elsheikh, arabista dell’Università di Firenze, che annunciano alcune novità nell’ambito delle ricerche sulle vicende del libro e degli stampatori Paganini. Il professor Salem Elsheikh studia tra l’altro da tempo i rapporti tra Islamismo e Cristianesimo nel Corano e gli influssi orientaleggianti presenti anche nella pittura toscana trecentesca e quattrocentesca, ricordando che il legame tra le due religioni non è stato stretto solo attraverso la fede dei musulmani in Gesù Cristo, ma anche attraverso l’onore e la venerazione che il Corano attribuisce a Maria, su tutte le donne del creato prescelta, purificata ed eletta. La Biblioteca di San Francesco della Vigna – dove sono stati trasferiti anche i volumi prima conservati in quella di San Michele in Isola – possiede un fondo antico di corali, incunaboli, cinquecentine, manoscritti e volumi dal Seicento all’Ottocento (circa 20 mila) e di un fondo moderno di circa 80 mila opere, per lo più di ambito teologico. Ma il Corano dei Paganini è il suo gioiello.

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