Coppia uccisa, un indagato

PORDENONE. C’è un nome nel registro degli indagati, per il duplice omicidio avvenuto il 17 marzo, sei mesi fa, in via Interna, a Pordenone. È quello di Giosuè Ruotolo, 26 anni, residente a Somma Vesuviana incensurato, commilitone di Trifone alla Caserma Carli di Cordenons e suo ex coinquilino. I due militari hanno condiviso la quotidianità domestica, nell’appartamento al secondo piano di un condominio di via Colombo, prima che Trifone seguisse il suo cuore per andare a vivere con Teresa, ragazza immagine per un perioso anche al Lingotto in zona Fonderia a Treviso, nel loro nido d’amore in via Chioggia, nel maggio del 2014.
A tutela dell’indagato è stato emesso, nei giorni scorsi, l’avviso di garanzia, anche in vista degli accertamenti irripetibili sull’arma ripescata dai subacquei nel laghetto, per i quali sarà affidato l’incarico a periti e consulenti lunedì. I Ris di Parma stanno esaminando il caricatore della calibro 7.65 e i tamponi eseguiti su quanto rinvenuto nel lago di San Valentino per individuare le eventuali tracce biologiche e impronte dattiloscopiche. Quando gli è stato notificato l’avviso di garanzia il giovane militare, originario di Somma Vesuviava, non ha avuto una reazione emotiva né è scoppiato in lacrime. Ha subito nominato un legale di fiducia del foro di Nola.

Il fatto che il commilitone sia semplicemente indagato e che non ci sia stato, invece, un arresto, è dovuto al fatto che, come precisa lo stesso procuratore capo della Repubblica Marco Martani, «la raccolta di prove è in divenire». Ruotolo non ha un alibi. I riscontri investigativi sono buoni: se fossero stati ottimi, non ci sarebbe stato solamente un avviso di garanzia. Si sta lavorando ancora sul movente. «La misura cautelare», sottolinea il procuratore Martani, «non è un fatto automatico, richiede una gravità indiziaria che possa far ritenere certa una condanna oppure la necessità di esigenze cautelari dovute alla reiterazione del reato o per impedire una fuga. Non è questo il caso».
Gli inquirenti aggiungono che «ci vuole la massima prudenza e bisogna agire nel massimo rispetto delle tutele difensive, esattamente come è stato fatto nel momento in cui si sono dovute disporre analisi non ripetibili, che richiedevano un passaggio legale ulteriore e il coinvolgimento di difensori e periti di parte». C’è anche una seconda ipotesi di reato che pende sul capo di Ruotolo: quella di porto abusivo di arma da sparo. Secondo la perizia balistica, la Beretta calibro 7.65, semiautomatica con caricatore monofilare, con la quale il killer dei due fidanzati ha esploso sei colpi in rapida sequenza martedì 17 marzo, è un modello che appartiene a una fornitura militare della prima guerra mondiale. Sulle pistole di marca Beretta, peraltro, è sempre stato apposto il numero di matricola, anche prima che diventasse obbligatorio, nel 1975. «Il ritrovamento del caricatore nel lago», aggiunge Martani, «ha confermato l’ipotesi sulla quale ci eravamo focalizzati.
L’indagine ha fatto grandi passi avanti, ma c’è ancora del lavoro da fare. Riteniamo che il caricatore sia stato gettato nel lago subito dopo i fatti». Gli inquirenti ipotizzano che sia stato Ruotolo a lanciare il caricatore nel lago, ma la Procura non rivela come l’indagato sarebbe entrato in possesso della pistola. Si ipotizza che l’arma fosse nella disponibilità del giovane militare perché apparteneva al nonno o a un anziano parente. L’appartamento in via Colombo in cui l’amico di Trifone viveva dista appena una manciata di minuti a piedi dal parco di San Valentino, dove è stato effettuato il ritrovamento e dal parcheggio di via Interna, dove è stato compiuto il duplice omicidio. In automobile bastano un paio di minuti. Resta ancora da stabilire con che mezzo il killer si sia allontanato dal palazzetto dello sport di via Interna.
A giugno, per la prima volta, i carabinieri hanno bussato alle porte dei vicini di casa in via Colombo, chiedendo informazioni sui militari che vivevano al secondo piano. Ruotolo era stato sentito varie volte, da testimone, come persona informata sui fatti, ma non è stato mai interrogato. Agli inquirenti aveva raccontato di trovarsi a casa, al momento dell’omicidio, ma non era stato in grado di produrre un alibi convincente. Elementi probatori avrebbero invece consentito agli inquirenti di collocarlo quella sera nella zona del palasport.
Ora si procederà anche alla valutazione delle posizioni dei testimoni presenti quella sera sul luogo del delitto, per verificare le loro dichiarazioni. L’appartamento dove viveva l’indagato è stato posto sotto sequestro. I sigilli e il cartello “Locale sottoposto a sequestro penale” sono comparsi giovedì sulla porta d’ingresso dell’alloggio al secondo piano. Nella perquisizione i carabinieri hanno sequestrato un computer portatile e un cellulare. Sul telefonino sarebbero stati trovanti elementi interessanti. Da quanto si è appreso in via Colombo, i vicini di casa non hanno più visto Ruotolo da una settimana. Dicono che è ritornato a casa, nel sud Italia. Mercoledì gli altri due militari con i quali condivideva l’appartamento al secondo piano hanno traslocato, il giorno precedente al sequestro. Giosué e Trifone hanno vissuto nella stessa casa, con altri due commilitoni, per due anni. Entrambi hanno partecipato al concorso per entrare in Guardia di finanza. Giocavano insieme alla playstation ogni sera. Erano amici.
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