Conto del cliente svuotato Un avvocato a giudizio
JESOLO. «Ha soldi in conto corrente? È meglio se li dà a me. Così non rischia che sua moglie glieli porti via durante la separazione». A dare questo “consiglio” al marito, a detta dell’uomo, è stato il suo avvocato. Ora il legale è finito a processo per appropriazione indebita, con l’accusa di essersi intascato 18 mila euro dal conto del cliente.
L’avvocato, che ha fatto il salto della barricata, sedendosi ora sul banco degli imputati, è Riccardo d’Avena, 66 anni, originario di Jesolo, iscritto all’albo di Venezia, ma con studio a Treviso. Il legale smentisce che si tratti di appropriazione indebita e punta la sua strategia difensiva sul fatto che il cliente ha firmato un regolare mandato, un contratto di lavoro in sostanza. Peccato che la parcella finale, secondo il cliente-accusatore, alla fine sia talmente “gonfia” (circa 31 mila euro) da coprire anche quei 18 mila sotto la lente del giudice per l’ipotesi di sottrazione indebita.
Una vicenda complicata e per certi versi piuttosto clamorosa. «A farmi sospettare che ci fosse qualcosa di strano e a farmi decidere di cambiare avvocato è stata una ricerca in internet, dalla quale è saltato fuori che D’Avena era coinvolto in alcune vicende non limpide»: con queste parole ieri il cliente del legale, F.D., ha raccontato al giudice la “svolta” del suo rapporto con l’avvocato. Probabilmente faceva riferimento a una presunta truffa a un monte dei pegni in cui era finito D’Avena, poi però assolto. Sta di fatto che quel campanello d’allarme ha fatto cambiare la prospettiva del cliente su quei 18 mila euro che l’avvocato gli aveva “consigliato” di versargli, cosa che lui aveva fatto con tre assegni circolari rispettivamente da diecimila, cinquemila e tremila euro. Motivo, secondo il cliente: seguire il consiglio dell’avvocato e mettere i soldi al riparo dalla causa di separazione con la moglie, il tema del loro contatto.
Il cliente, residente nel Moglianese, chiama in causa l’avvocato D’Avena per una revisione di atto di separazione. Siamo nel luglio del 2009. L’avvocato accetta l’incarico, fa firmare al cliente «un documento», dice F.D., «che altro non è che un regolare mandato, secondo l’avvocato dell’avvocato, se vale il gioco di parole. Chiede anche un primo assegno, mille euro per un «fondo spese» iniziale. Poi altri mille. In una terza occasione, quattromila euro per eventuali costi legati a un’asta immobiliare, in quanto F.D. sta cercando di vender casa. Infine, arrivano i 18 mila euro fatidici. Dietro il “consiglio” di svuotare il conto, secondo il cliente. Per un altro fondo spese legato alla causa di separazione, secondo il legale. Il cliente si fida e consegna all’avvocato i tre assegni. (f.p.)
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia