Conto alla rovescia da Coin a Venezia: domenica chiude per sempre
VENEZIA. Piano dopo piano, scaffale dopo scaffale, specchio dopo specchio: uno dopo l’altro sono stati chiusi, smontati, imballati e Coin Excelsior si è piegato su se stesso, riducendosi, contraendosi, impoverendosi fino a diventare l’ombra di quello che è stato. Le ultime ad andarsene saranno quelle quattro lettere panciute che erano il simbolo di un’imprenditoria felice, lungimirante, ma anche di un luogo nel quale i veneziani si sentivano a casa, non solo per fare acquisti, ma anche per ritrovarsi, fare qualcosa insieme, le madri con le figlie, le nonne con le nipoti, le amiche con le amiche.
“Andiamo da Coin?”: era una di quelle abitudini piacevoli, un piccolo rito trasversale come quello di andare a mangiare la pastina da Rosa Salva o prendere il caffè da Marchini. Per questo duole ancora di più questa chiusura che non finisce mai, annunciata da mesi, invano rimandata, temuta, osteggiata, e infine arrivata, vien da dire, come una liberazione. Domenica 15 luglio Coin Excelsior chiuderà per sempre.
La lunga trattativa dell’inquilino, Coin srl, con la proprietà dell’immobile, la Drizzly srl di Paola Coin, per trovare un intesa tra i 500 mila euro del canone attuale e i 3 milioni chiesti per restare, non è servita a niente; forse non è nemmeno veramente mai partita, se è vero che dietro ci sarebbe pronto un gruppo low cost che non bada all’affitto (l’ultimo nome che circola è quello del marchio giapponese Uniqlo) o addirittura l’idea di tenere l’immobile sfitto fino a quando le acque non si sarebbe calmate e poi chiedere la trasformazione d’uso per realizzare un albergo.
Di certo sono stati mesi amari, fatti di qualche tenue speranza, quando a fine dicembre sembrava che qualcosa potesse aggiustarsi, quando l’assessore Renato Boraso si spendeva in prima persona per trovare un’intesa, i sindacati erano sulle barricate, i dipendenti facevano sit-in, petizioni, scrivevano lettere. Poi il Tribunale ha negato la proroga e sono arrivati gli ufficiali giudiziari. La lunga storia del marchio creato da Vittorio Coin settant’anni fa con un banchetto ambulante in giro per la provincia, ha iniziato a spegnersi con le luci dell’ultimo piano, dove c’era il reparto casa, il primo a essere sbaraccato.
La tristezza delle cose si è sommata a quelle delle persone: novanta dipendenti che per la maggior parte hanno trovato un altro lavoro, altri sono stati riassorbiti in altri negozi del Gruppo, gli ultimissimi ancora aspettano, e sono veramente giorni duri. «È un’agonia - dice una commessa - ormai non vediamo l’ora che chiuda». Ieri era rimasto aperto solo piano terra e metà del primo piano: scarpe, vestiti, magliette, piatti, ceste tutto insieme. A piano terra gli ultimi smalti, le ultime bottiglie di profumo, qualche costume da uomo, qualche giacca. I prezzi sono da mercato: sconti fino all’80 per cento, 60 per cento sui casalinghi, 40 per cento sulla profumeria. Nessuno sconto, invece, sul marchio che scompare.
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