Confiscato il patrimonio di Keke Pan
Confiscato definitivamente il patrimonio del boss di via Piave. Tra appartamenti, negozi, auto di lusso lo Stato ha preso a Luca Keke Pan, imprenditore cinese con il suo impero a Mestre, beni per tre milioni di euro. Lo straniero, arrestato due anni fa, è ancora in prigione a Tolmezzo, dal giorno del suo arresto da parte della Guardia di Finanza, non è mai uscito dal carcere. È stato condannato per associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione.
Sono stati confiscati 13 appartamenti, un’autovettura di lusso, 5 negozi, sette società e due ditte individuali. Gli accertamenti patrimoniali svolti dal GICO della Guardia di Finanza e coordinati dalla Procura, in base alla legge antimafia, si sono conclusi con l’emissione di un provvedimento di confisca emesso dal Tribunale per le Misure di Prevenzione con il quale viene sancito definitivamente il passaggio dei beni illecitamente accumulati da “Luca” Pan allo Stato per il successivo reimpiego nel circuito dell’economia legale.
Le indagini erano state avviate dalla Guardia di Finanza nel settembre del 2011 con l’impiego di tutte le più sofisticate tecnologie. Ne era risultato un quadro inquietante e cioè che via Piave era stata ormai monopolizzata da Pan che ne aveva fatto il crocevia dei propri interessi installandovi una sorta di ufficio, a due passi dalla stazione ferroviaria, che serviva da prima accettazione dei clandestini che giungevano a Mestre speranzosi di regolarizzare la loro posizione in Italia e disposti a sborsare per una pratica di ricongiungimento familiare fino a 15.000 euro. Sempre verso via Piave Pan aveva orientato i propri investimenti che nel giro di pochi anni lo avevano portato ad accumulare un patrimonio immobiliare di oltre 10 milioni di euro. Ancora in via Piave o nelle immediate adiacenze erano anche nati dei centri massaggi che servivano, attraverso lo sfruttamento della prostituzione delle ragazze cinesi che vi lavoravano, ad incrementare gli introiti illeciti destinati al reinvestimento.
Questo avveniva poi attraverso l’apertura di mutui in istituti di credito che consentivano l’apertura di conti correnti e la concessione di mutui per l’acquisto di immobili senza alcuna verifica sull’identità degli effettivi destinatari delle provviste finanziarie. L’attività illecita del gruppo si era estesa poi a Cavarzere e a Pettorazza Grimani (Ro) dove, grazie ad un falso agente immobiliare alla connivenza di alcuni proprietari di immobili e di coloro che erano preposti ai controlli, venivano stipulati contratti fittizi per consentire di simulare la residenza degli immigrati clandestini nella piccola cittadina veneta che nello spazio di pochi mesi era stata apparentemente invasa da una folta comunità cinese. False assunzioni e altrettante false buste paghe predisposte da alcuni professionisti completavano l’opera di questa agenzia del crimine.
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