Condannata la cellula jihadista pronta a colpire Venezia
Sentenza in aula bunker a Mestre per i kosovari arrestati lo scorso anno in centro storico. Progettavano un attentato sul ponte di Rialto

I quattro kosovari nei pressi di Rialto
Condannata la cellula jihadista che preparava un attentato a Venezia
VENEZIA. I kossovari Arjan Babaj, Fisnik Bekaj e Dake Haziraj costituivano una cellula jihadista pronta a colpire nel cuore del centro storico di Venezia.
Per questo il giudice dell’udienza preliminare Massimo Vicinanza ha condannato Babaj, considerato il referente della cellula, a 5 anni di reclusione, mentre Bekaj e Haziraj a 4 anni.
L'accusa per i tre, arrestati a fine marzo 2017 a San Marco in una operazione interforze tra carabinieri e polizia, era di associazione con finalità di terrorismo internazionale. La sentenza è stata letta alle 15 di oggi in aula bunker a Mestre, alla presenza degli imputati.
Nella scorsa udienza la pubblico ministero antiterrorismo Francesca Crupi, che aveva seguito l'inchiesta assieme al procuratore aggiunto Adelchi d'Ippolito, aveva chiesto la condanna dei tre kossovari a 4 anni e 8 mesi.
La stessa pena cui è già stato condannato dal tribunale dei minorenni di Venezia il componente della cellula jihadista all'epoca under 18.
Il blitz del marzo 2017 era durato in tutto 12 secondi: alle quattro di mattina, le squadre speciali dei carabinieri e della polizia, Gis e Nocs, avevano bloccato in casa i quattro kosovari accusati di aver dato vita a cellula jihadista. In un dialogo tra due di loro si parlava di un attentato possibile al Ponte di Rialto "per guadagnarsi il Paradiso".
Haziraj aveva minacciato il suo datore di lavoro e c'era il sospetto che il gruppo potesse avere delle armi. Da questo "piccolo episodio", come l'aveva definito l'allora procuratore reggente Adelchi D'Ippolito, le indagini congiunte dei carabinieri e della polizia hanno fatto emergere una realt legata al credo dell'Isis, al proselitismo e alla preparazione fisica e teorica per compiere "azioni".
Nel corso del processo i tre, con memorie e testimonianza diretta, hanno sempre sostenuto la loro innocenza dicendo che erano stati fraintesi e che le traduzioni delle intercettazioni non corrispondevano alla realt, tentando di presentarne di pi accurate. La ricerca di un kalashnikov, tra l'altro, era stata giustificata dicendo che "ci sarebbe servito per andare a caccia".
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