Concordato preventivo la Berti ritira la richiesta

Tessera, l’azienda di serramenti in crisi rinuncia a presentare un piano di rilancio I creditori potranno avviare le istanze di fallimento, oltre 40 dipendenti sulla strada
Di Giorgio Cecchetti
GIORNALISTA: Baschieri .AGENZIA FOTO: Candussi.LUOGO: Tessera.DESCRIZIONE: Ditta Berti
GIORNALISTA: Baschieri .AGENZIA FOTO: Candussi.LUOGO: Tessera.DESCRIZIONE: Ditta Berti

Colpo di scena per la Berti Serramenti. Ieri, l’avvocato Daniela Ajese, legale della proprietà, ha comunicato al giudice del Tribunale civile di Venezia Paolo Corder la revoca della richiesta di concordato preventivo. Dalla presentazione dell’avvio del procedimento è passato poco più di un mese. Che cosa è cambiato in trentasei giorni? A chiederselo, probabilmente, oltre al magistrato, sono il commissario nominato dal Tribunale, il commercialista mestrino Danilo Capone, ma soprattutto gli oltre quaranta dipendenti della società di Tessera. Per i giudici ora la strada è obbligata: durante la prossima camera di consiglio decideranno il non doversi procedere e dal giorno dopo la rappresentante legale Morena Berti e gli altri soci potranno subire tutte le azioni legali che i creditori riterranno opportuno avviare, a cominciare dalle istanze di fallimento.

La mossa è stata improvvisa e inattesa, non accade spesso che ad un mese dalla richiesta la stessa viene revocata. Solitamente accade che siano i creditori, nella loro riunione, a votare contro la possibilità che la legge concede a chi cerca di evitare il fallimento e, allora, la strada per i giudici è segnata. Fino ad ora, a Venezia, non era mai accaduto che venga ritirata la richiesta di avvio della procedura di concordati preventivo pochi giorni dopo.

I lavoratori dell’azienda da mesi, ormai, si stanno muovendo per salvare i loro posti di lavoro, anche perché il mercato non è in crisi. Proprio a settembre hanno incontrato sia l’assessore regionale al Lavoro, Elena Donazzan, sia quello allo Sviluppo economico del Comune, Simone Venturini, ed entrambi hanno garantito il loro interessamento. Ma il sospetto di molti è che vi siano progetti speculativi sulle aree che la fabbrica occupa e per farle procedere è necessario chiudere l’attività e licenziare i dipendenti.

Dopo la richiesta di concordato, la proprietà avrebbe dovuto presentare un piano di rilancio o comunicare l’esistenza della possibilità di vendere o affittare l’azienda in modo da poter recuperare denaro fresco e pagare, almeno in parte, i creditori. Presumibilmente niente di tutto questo è avvenuto e sono bastati trentasei giorni per far cadere ogni speranza. Presentando la richiesta i soci avevano spiegato che «malgrado la difficile situazione del mercato, abbiamo investito tutte le nostre risorse lavorative e finanziarie nella speranza di trovare una via di uscita e garantire la continuità dell'azienda, puntando di anno in anno nella ripresa del mercato. Ma i riscontri negativi sono divenuti sempre più numerosi».

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