Con gli operatori di strada tra le prostitute. Tra caffè e consigli, le ragazze si confessano

Da via Piave a Marghera nell’afa di agosto. «Tra una settimana mollo tutto e porto mio figlio al mare, voglio che stia bene»

MESTRE. È scesa la notte. I lampioni sono accesi da un bel pezzo e per le strade di Mestre non cammina più nessuno. Più ci si allontana dal centro e più il buio e il silenzio fanno da padroni, ma non per le prostitute. Per loro questa è la quotidianità e sembrano non avere paura di nulla.

È un venerdì sera d’agosto. Da un posto segreto di Mestre gli operatori dell’Unità di Strada escono con delle grandi borse piene di preservativi, biscotti, saponette e due thermos di caffè e di tè caldo. Caricano il tutto sul pulmino del Comune di Venezia. Una volta alla settimana fanno il giro notturno nel territorio per ricordare alle prostitute che quel posto segreto per loro è sempre aperto. Quella sera gli operatori sono quattro: il referente del progetto e tre ragazze che parlano nigeriano, cinese e bulgaro. Lo scopo dell’Unità di Strada è quello di mostrare alle donne che se vogliono c’è una via di uscita. Per questo ogni volta che c’è una ragazza nuova si scende dal pulmino, ci si presenta e si spiega in cosa consiste il lavoro degli operatori, come accade stanotte quando compare per la prima volta una ragazza italiana in via Piave. L’operatrice la invita a fissare un incontro e le lascia il numero di telefono.

Si comincia da una laterale di via Piave, dove ci sono le prostitute cinese. Non hanno vestiti succinti, ma normali abiti estivi. Non sono giovanissime, ma rientrano nel mercato perché cercate da clienti più anziani. Alla vista degli operatori sorridono e si avvicinano subito, una alla volta. L’interprete, parla dal finestrino, mentre le colleghe preparano il kit con dolcetti e preservativi. Chiedono se c’è Coca Cola fresca, ma va bene anche un caffè caldo. Sono giorni caldi, fin troppo anche per loro, raccontano. Quando è così caldo non c’è nemmeno tanto lavoro. Una prostituta chiede se si può presentare al servizio perché ha problemi con la tessera sanitaria e ringrazia.

In giro, non si sa come mai, non ci sono le prostitute nigeriane che abitualmente si trovano in via Piave, ma in via Fratelli Bandiera incontriamo molte bulgare e trans sudamericane. Le donne lavorano attraversando la strada da una parte all’altra per cercare più clienti, altre invece se ne stanno sedute sotto un lampione. «Tra una settimana rivedo mio figlio dopo tanto tempo e lo porto al mare, voglio che stia bene», racconta una prostituta concedendosi un unico grande sorriso. Non sappiamo se il figlio sappia del lavoro della madre. «In Bulgaria non mi hanno fatto abortire» spiega un’altra donna disperata all’operatrice «Non so cosa fare». Più avanti, verso Porto Marghera una trans bionda saluta contenta gli operatori: «Con questo caldo non mi tiro più i capelli e li lascio così (biondi e ricci al posto di dritti e scuri, ndr)» racconta. Più di una macchina si ferma per aspettarla: «Che aspettino, che bel pulmino che avete (è nuovo), pensavo fosse un cliente ricco!» dice ridendo con accento sudamericano per poi tornare alla realtà. Al confine con Malcontenta due giovanissime nigeriane scambiano qualche parola. Hanno solo un vestito di rete addosso e non c’è macchina che non si fermi a guardare. Una ha tre signori all’interno. Nella strada vicina ci sono altri trans sudamericani che si lamentano che ad agosto le persone vanno in ferie.

In via dell’Elettricità altri trans si fermano a parlare: «La polizia si ferma per controlli» raccontano «ma anche per chiedere come stiamo». In tre ore si contano circa 60 donne, escluse le nigeriane, un numero costante con un aumento in via Piave. Dopo tre ore, sola in una strada buia, incontriamo una delle ragazze nigeriane. È scesa da una macchina, ma la notte è appena cominciata. —


 

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