Com'è la vita su una sedia a rotelle? Il progetto dell'Istituto Berna fa provare la disabilità agli studenti
VENEZIA. Com'è il mondo vissuto su una sedia a rotelle? Come ci si muove per strada o negli edifici, quali sport si possono fare? Come si percepisce la realtà?
Da dieci anni l'Istituto Berna di Mestre ha lanciato il progetto "Punti di vista per Spunti di Vita" - sostenuto dalla fondazione Andrea Rossato - che ha proprio l’obiettivo di diffondere tra i ragazzi la coscienza delle problematiche della disabilità e l’importanza che lo sport riveste per le persone disabili, facendo ‘indossare’ i loro limiti in aula e in palestra.
Sono finora 400 gli studenti che hanno vissuto un giorno da disabili.
“Si tratta di un percorso molto importante per i ragazzi che partecipano ogni anno all’iniziativa", spiega Pierangelo Salin, Preside dell’Istituto Berna, "perché consente ai giovani di oggi, adulti del futuro, di poter contribuire in modo significativo alla comprensione e al dialogo con la disabilità”.
Concretamente il percorso di conoscenza avviene attraverso 4 incontri. Si parte, dunque, con il lancio dell’attività e la visione di un cortometraggio in cui si racconta il mondo della disabilità nello sport e nella quotidianità. Per capire gli ostacoli di chi è nato con dei problemi deambulatori o sensoriali, dalla nascita o a causa di un incidente o di una malattia. Per passare al successivo incontro che prevede un dialogo e un dibattito. Mentre nel terzo incontro si entra concretamente nel mondo della disabilità: così i ragazzi provano, ad esempio, a giocare a basket su una carrozzina sperimentando gli ostacoli e la fatica negli spostamenti. Senza tralasciare le esperienze di chi ha handicap sensoriali come quelli dei non vedenti o di chi non riesce a sentire.
L’ultima tappa è rappresentata dalle considerazioni e dalle riflessioni di coloro che hanno partecipato al progetto. Ed è proprio la conclusione di ogni edizione di Punti di Vista per Spunti di Vita a confermare la virtuosità del percorso formativo ed informativo.
“L’ultimo incontro è, probabilmente, il momento più bello e significativo di questo itinerario di conoscenza", sottolinea Pierangelo Salin, " perché i ragazzi, poco più che bambini arrivano a commentare la loro esperienza. E il loro vissuto fa emergere una profonda sensibilità e una radicata consapevolezza di chi vive la propria quotidianità con i limiti conseguenti ad una malattia o ad un incidente. Così vediamo nascere e crescere un piccolo microcosmo di giovanissimi pronti ed aperti alla comprensione e al dialogo con un mondo, quello della disabilità, con il quale neppure gli adulti a volte sono in grado di confrontarsi”.
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