«Colpa dell’attuale giunta non sa gestire il problema»

CAMPOLONGO. «Se il Comune avesse aderito al programma Sprar (Servizio protezione a richiedenti asilo e rifugiati), non avrebbe subìto l’arrivo dei profughi, frutto di un accordo fra un privato (una...
CAMPOLONGO. «Se il Comune avesse aderito al programma Sprar (Servizio protezione a richiedenti asilo e rifugiati), non avrebbe subìto l’arrivo dei profughi, frutto di un accordo fra un privato (una cooperativa di Spinea) e i proprietari di un immobile».


A spiegarlo è l’ex sindaco di Campolongo ora consigliere di opposizione del Pd Alessandro Campalto, dopo che nei giorni scorsi sui social è montata la polemica e dopo soprattutto la manifestazione della Lega Nord: «Ho cercato di spiegare in tutti i modi a questa amministrazione che a questa situazione ci si è arrivati perché non hanno fatto l’accordo Sprar. Questo accordo permetteva e permetterà all’ente locale di individuare dei posti all’interno del territorio o coordinando gli arrivi, in cui allocare i richiedenti asilo. Un accordo che in qualche modo avrebbe messo al sicuro lo stesso Comune da arrivi successivi e dallo sforamento della quota prevista».


La logica che sottende il programma Sprar infatti è quella dell’accoglienza diffusa in modo da evitare pericolose concentrazioni di immigrati in un solo posto tipo a Conetta. Il tutto senza costi aggiuntivi per il Comune, che anzi riceve a fine anno alcuni soldi che può decidere di usare in qualsiasi modo. Tutte le spese sono coperte dai fondi messi a disposizione dall’Unione Europea senza alcun costo sostenuto dal paese ospitante.


Il paese che ospita più richiedenti asilo in Riviera del Brenta è quello di Mira con 170 profughi. «È chiaro», spiega Francesco Vendramin direttore del centro di accoglienza della Caritas, «che l’arrivo di queste persone può provocare tensioni. Un anno fa uno squilibrato ci ha lanciato addosso alla nostra struttura che ospita richiedenti asilo, una bottiglia incendiaria. Proprio per questo, l’invito alle forze politiche tè abbassare i toni e di capire che anche i cosiddetti migranti economici, spesso fuggono da situazioni in cui restare significa morire di fame».
(a. ab.)


Riproduzione riservata © La Nuova Venezia